Figurine Panini Pizzaballa

Ce l’ho, ce l’ho, mi manca: la leggenda di Pier Luigi Pizzaballa

Figurine Panini Pizzaballa

Il destino a volte è crudele. O quanto meno si diverte a prenderci in giro. Finisce così che anche se sei un calciatore che ha calcato i campi di Serie A (ed anche di Serie B), che ha vinto due volte la Coppa Italia, che ha difeso i pali del Milan nella sfortunata finale di Coppa delle Coppe a Rotterdam del 1974, che ha giocato in Nazionale e ha pure partecipato ad un Mondiale (sfortunato anche quello), ecco finisce che il tuo nome, o meglio, il tuo cognome, è destinato a passare alla storia per un album di figurine.

Non giriamoci troppo intorno. Gli appassionati di questo sport avranno sicuramente capito che stiamo parlando di Pier Luigi Pizzaballa, bergamasco classe ’39 che nella sua ventennale carriera ha difeso la porta di Atalanta, Roma, Verona e Milan.

Pizzaballa era in campo il giorno in cui il calcio nostrano si regalò una pagina di storia; quella della fatal Verona con il Milan che praticamente certo del titolo capitolò 5-3 al cospetto degli scaligeri regalando lo scudetto alla Juventus.

Una partita che Pier Luigi Pizzaballa, a quel tempo estremo difensore dei gialloblu, ricorda così in un’intervista rilasciata a Storie di calcio:

 

Quel giorno ero preoccupato. Il Verona segnava e segnava, il Milan stava perdendo lo scudetto, ma io pensavo all’Atalanta che stava retrocedendo e, quando i miei compagni andavano su in attacco, mi facevo prestare la radiolina da un raccattapalle. L’allenatore Cadè urlava: “Pizza, stai attento, concentrati”. “Ma, sì, faccio in tempo: prima che il Milan arrivi…”. Quella domenica l’Atalanta è andata in serie B, brutta cosa: io sono bergamasco”

 

Del resto il legame tra Pizzaballa e la sua città natale è stato sempre molto forte. E’ qui che il portieri ha iniziato la sua carriera da professionista nel 1958 esordendo in Serie A come riserva di Zaccaria Cometti; è quei che ha chiuso con la sua vita da calciatore nel 1980 dopo aver conquistato una Coppa Italia (l’altra arrivò con la maglia della Roma). Nel mezzo, oltre all’esperienza nella capitale, quella a Verona, quella con la maglia del Milan dove disputò da titolare la finalissima di Coppa delle Coppe del 1974 persa per 2-0 dai rossoneri contro il Magdeburgo; e poi la parentesi azzurra con l’esordio nel secondo tempo di Italia-Austria del 18 giugno 1966 quando subentrando ad Albertosi collezionò quella che sarebbe stata poi l’unica presenza con la maglia della Nazionale. Parteciperà anche alla spedizione in Inghilterra come terzo portiere senza però mai vedere il terreno di gioco.

Pier Luigi Pizzaballa non è stato, come ci tiene a sottolineare, dunque solo una figurina di calcio. Eppure è prevalentemente a questo oggetto che deve la sua popolarità.

Perché la figurina di Pizzaballa è stata a lungo l’incubo di ogni collezionista, il Gronchi rosa dell’album Panini. Una figurina che ancora oggi rappresenta un cimelio nonostante il tempo abbia in realtà smentito questa favola metropolitana.

Ce l’ho, ce l’ho, mi manca. E’ questa la litania recitata da ogni collezionista che approccia all’intonso pacchetto di figurine. Ed in un certo periodo degli anni ’60 a mancare era praticamente sempre e solo la card di Pier Luigi Pizzaballa. Un fatto che ovviamente ha una sua spiegazione.

Nella stagione 1963-1964 Pizzaballa, all’epoca ancora in forza all’Atalanta, aveva subito un infortunio che gli impedì di prendere parte agli scatti realizzati per l’album. Seguirono così un paio di mesi in cui la figurina risultò introvabile semplicemente perché mai realizzata. La Panini corse poi ai ripari immettendola sul mercato in quantità esattamente uguale a quella di tutte le altre figurine.

La leggenda della figurina di Pier Luigi Pizzaballa nasce dunque da un buco di due mesi. Due mesi sufficienti ad offuscare vent’anni di onorata carriera.

 

“Certi episodi restano e, in un certo senso, fanno anche piacere. Non trovavano la mia figurina, ma in campo, bene o male, c’ero. Dicevano che non avrei fatto strada con questo cognome. Non l’ho cambiato…”