Il calcio? Una volta era solo un gioco

E’ risaputo. Il calcio muove ormai interessi enormi e la sua continua e vertiginosa crescita non consente ancora di intuirne le reali potenzialità di sviluppo. Sembrano lontani ormai i tempi in cui eroici presidenti coprivano di tasca propria le perdite di bilanci perennemente in rosso. Con l’avvento di sponsor e televisioni il calcio ha ormai assunto dimensioni economiche semplicemente inimmaginabili fino a qualche tempo fa. Chi avrebbe mai detto ai Lenzini, ai Viola, ai Moratti che con il calcio si possono fare grandi affari. Loro avevano capito che se ne poteva ricavare una grande notorietà e visibilità. Ma il prezzo da pagare era sempre quello di mettere mani al portafoglio per ripianare i debiti. Erano altri tempi. Anni in cui il calcio era una cosa da europei e sudamericani. Ne è passata però di acqua sotto i ponti. Il calcio è diventato ormai un fenomeno planetario amato e seguito in tutti i continenti. Le cifre impazzano specialmente quelle provenienti dal continente asiatico. Citiamo qui solo gli accordi più recenti targati Cina e Giappone per far meglio intuire gli enormi interessi in gioco.

Il Barcellona ha siglato un accordo quinquennale con Rakuten, agenzia di e-commerce giapponese, da 60 milioni a stagione come sponsor di maglia. Con questa partnership, che si somma a quelle già siglate con Nike, Beko ed Intel, gli azulgrana raggiungono la cifra record di 158 milioni di euro a stagione incassata dai brand presenti sulla casacca di gioco superando i già strabilianti 130 milioni raggiunti dal Manchester United. Sul fronte dei diritti televisivi è invece la Premier League ad assurgere agli onori della cronaca dopo aver siglato con la piattaforma streaming PPTV un accordo triennale da 660 milioni di euro. L’accordo più grande mai sottoscritto all’estero dal campionato inglese. La cinese PPTV appartiene al gruppo Suning, lo stesso che detiene la maggioranza dell’Inter. Lo stesso per intenderci che si è già anche aggiudicato i diritti della Liga Spagnola. C’è poi il tema degli stadi di proprietà che promettono ingenti entrate dirette ed indotte. Ad esempio, lo studio effettuato dall’università La Sapienza per lo stadio della Roma evidenzia come un investimento pari a circa 1,6 miliardi può generare dopo nove anni ad un incremento del PIL della provincia di Roma pari a 18,5 miliardi.

Insomma stiamo assistendo negli ultimi decenni ad un fenomeno del tutto nuovo. Il calcio, da sempre studiato come fenomeno di costume, si sta spostando sempre più dal tavolo dei sociologi a quello degli economisti. Le stesse società da associazioni sportive (più o meno riconosciute giuridicamente) si sono trasformate in società per azioni. Qualcuno ha detto: “Il calcio è sempre più un’industria e sempre meno un gioco”. Un’affermazione semplice corroborata dalla costatazione che l’industria calcio è ormai la quinta al mondo e la terza in Italia.

Gli introiti si sono poi spostati negli anni dalla vendita dei biglietti di ingresso allo stadio (che oggi rappresentano circa il 10-15% dei fatturato) agli sponsor/merchandising (20-30%) e ai diritti TV (che fa la parte del leone con il restante 60-70%). Stadi che si svuotano ed interessi che si spostano dal tifoso a chi paga lo spot in televisione. Non sappiamo quanto questo sia meglio o peggio e non vogliamo assumere atteggiamenti nostalgici. Semplicemente prendiamo atto di una mutazione genetica che ancora oggi non si sa come trasformerà questo gioco, sport o business che sia. Ma che resta sempre, numeri alla mano, il più amato al mondo.