L’epopea di Djibril Cissé

Scrive Sergio Landucci, noto studioso ed insegnante di filosofia, sull’ottimismo di Leibniz:

 “Il mondo creato da Dio è solo uno fra gli infiniti possibili che Dio avrebbe potuto egualmente creare. (…) Nell’infinito campo del possibile (…)Dio sceglie la migliore tra le infinite combinazioni, ossia quella che contiene la minore quantità di male per le creature.  E dal momento che Dio di fatto ha creato un mondo, questo è quindi senz’altro il migliore tra tutti quelli che avrebbe potuto creare: per quanti mali contenga agli occhi degli uomini, la somma totale di essi è inferiore a ogni altra possibile”.

Ora, difficile dire se Djibril Cissé sia o meno un appassionato di filosofia. A volersi fermare alle apparenze ci sarebbe da pensare di no. Ma le apparenze, per definizione, spesso ingannano. Per questo dato l’approccio camaleontico alla vita del francese, un po’ attore, un po’ dj, un po’ imprenditore ed un po’ ricattatore, ma soprattutto ex (o forse no) calciatore,  potremmo forse stupirci un giorno nello scoprire che Djibril Cissé è in realtà un divoratore di saggi filosofici e che di quelle righe e dei pensieri in esse intrappolati è stato solito cibarsi per trarre la linfa necessaria a risorgere ogni volta che la sorte he provato a ridurne in cenere la vita. E si che ci ha provato.

Ed è magari proprio dall’ottimismo di Leibniz che Djibril Cissé ha preso spunto per vivere e sorridere dei guai. Per Vasco, filosofo dell’era moderna la cui filosofia ha cresciuto già almeno tre generazioni, c’è chi non lo ho fatto mai. Ma Djibril Cissé non è certo uno di questi.

Figlio di Mangué e Karidjata, Djibril Cissé nasce ad Arles il 12 agosto del 1981. Il calcio c’è l’ha impresso già nel DNA se è vero che Mangué è uno che in passato ha frequentato la Nazionale di calcio ivoriana. Perché le origini di Djibril sono africane. Ed anche quello a ben vedere è un qualcosa che uno si porta nel DNA.

Sono tre infatti le caratteristiche distintive di Djibril Cissé: il fisico statuario, la corsa ed un innato senso del gol. Le prime due sono doni d’Africa. La terza è un dono di Dio. Una di quelle cose che o ci nasci o non potrai mai farci niente. Neanche se decidi di spendere i tuoi giorni sul campo d’allenamento da mattina a sera. Si, per carità, puoi sempre diventare uno che i gol li fa e lo fa pure con una certa costanza. Ma non riuscirai mai ad avere quel guizzo, quella capacità naturale di quei pochi eletti di trovarsi lì, sempre lì, al momento giusto, quando il pallone arriva; e poi spingerlo in rete. Di piede, di testa, di coscia di petto. Che poi alla fine cosa importa: sempre gol è no!

O ci nasci o non potrai mai farci niente. Neanche se decidi di spendere i tuoi giorni sul campo d’allenamento da mattina a sera. Neanche se il tuo allenatore è quel santone di Guy Roux.