La Juve del do Dragão

E’ servito più del previsto alla Juve per sbrigare la pratica di Oporto.

E’ fatta o quasi. Il primo ostacolo proposto dalle urne di Nyon, il Porto di Espirito Santo, è stato disinnescato con diligenza e una buona dose di fortuna dalla squadra di Massimiliano Allegri. Complici tre episodi che hanno indirizzato la gara sui binari giusti: l’espulsione di Telles (ex Inter) e gli innesti di Pjaca e Dani Alves, per una notte, da panchinari di lusso a insoliti mattatori nel 2-0 del do Dragão.

Vestito buono

La prima buona notizia arriva dalla conferma che il nuovo vestito della Juventus, dopo i sette successi consecutivi tra Coppa Italia e campionato, è tagliato su misura anche per le notti di Champions, per le quali d’altronde era stato originariamente pensato. La formula pentastellata, con Higuain, Dybala, Cuadrado, Pjanic e Mandzukic disposti in una delicata convivenza, ha mostrato ancora una volta la sua vera natura: a dispetto del potenziale offensivo, il 4-2-3-1 assicura innanzitutto solidità dalle parti di Buffon (praticamente mai impegnato in 90’), in aderenza a quel principio tutto europeo secondo cui più la palla è vicina alla porta avversaria (nello spazio e nei tempi) più si dorme sereni dietro. Per imporre il dominio posizionale, alla Juve sono bastati appena 27’ di gioco: il doppio giallo rifilato a Telles, protagonista di due entrate scellerate nella corsia di sinistra, su Cuadrado prima e su Lichtsteiner poi, ha di fatto complicato il piano partita dei Dragões semplificando per converso il compito ai bianconeri. Sopra di un uomo, però, la Juve ha però impiegato quasi un’ora prima di traslare il vantaggio numerico sul piano del risultato.

La chiusura del drago

Che il Porto fosse squadra attendista lo si sapeva già alla vigilia: la squadra di Espirito Santo gode della migliore difesa del campionato dall’alto dei soli 11 gol presi in 22 uscite, in 13 delle quali la porta è rimasta addirittura inviolata. Era difficile aspettarsi una partita pirotecnica al pari di quanto andato in scena nella serata di martedì: la media di 7.3 tiri subiti a partita rendeva il Porto la formazione che presta meno il fianco in Champions League, seconda soltanto alla Juve, primatista con 6.8 conclusioni. Le statistiche sono state poi sconfessate sul campo, con un 3-18 alla voce conclusioni effettuate (0 nello specchio per il Porto, 4 per la Juve) che rende bene l’idea sullo squilibrio di forze che si è via via consolidato al do Dragão.

Se il Porto ha blindato l’area per 72’, il merito è senza dubbio di un approccio votato integralmente al contenimento. La scelta di schierare un inusuale 4-4-2, in luogo del canonico 4-1-3-2, nasce dalle lacune che un tale modulo evidenzia nel coprire orizzontalmente il campo. Espirito Santo ha massimizzato la tendenza attendista della sua squadra rinforzando i dispositivi sulle catene laterali, lì dove la Juve poteva far male, puntando tutto sulla velocità in ripartenza. Quando il Porto si è trovato in dieci, la contrazione si è resa ancor più necessaria: Layun ha preso il posto dello sciagurato Telles, Marcano e Felipe hanno tenuto a bada le interazioni tra Dybala e Higuain, mentre Felipe e Ruben Neves hanno imbrigliato a dovere qualsiasi iniziativa centrale. In chiaro handicap di rotazioni e con un potenziale offensivo irrisorio, Brahimi, emblema di resilienza tra i Dragões, ha agito da navetta sdoppiandosi in marcatura e impostazione al punto da ridurre l’inferiorità numerica. Probabilmente in dieci o undici, sarebbe cambiato veramente poco.

La Juve ha quindi avuto vita facile nel prendere in mano il controllo del gioco, trovando però enormi difficoltà nel tradurlo in effettiva pericolosità. I bianconeri hanno costruito una fitta trama di ragnatele volta a stanare un Porto tatticamente disciplinato, anche al di là delle aspettative. Lichsteiner e Cuadrado hanno percorso la fascia destra limitandosi ad un lavoro ordinario senza mai affondare in area di rigore. La poca qualità dei palloni giocabili in mezzo ha finito per disinnescare anche Mandzkukic, relegato alla grezza protezione della sfera, ma mai pienamente sfruttato per le sue doti aeree. Con il Porto flottato a ridosso della porta e ben disposto a presidio delle fasce, l’ariete croato è risultato poco funzionale al contesto.

Buona sorte

Il 76.6% di possesso palla dei bianconeri, accoppiato al 91,8 % di passaggi riusciti, manifestano dunque un controllo netto ma decisamente sterile. Allegri ha predicato pazienza, consapevole che, qualora la Juve si fosse oltremodo sbilanciata, avrebbe potuto cedere al finissimo tranello imbastito da Espirito Santo. In uno stadio inviolato da settembre, la cosa migliore da fare era maneggiare la partita con cautela e il tecnico livornese è stato premiato alla distanza: buona sorte sacchiana, il compromesso tra intuizioni e fortuna.

In assenza di idee, servivano gli spunti dei singoli. Dybala ha centrato l’ennesimo legno da fuori, si è mosso con minore fantasia del solito, ma quando si è acceso ha fatto ballare la difesa portoghese. Higuain per poco non ha pescato il gol a giro. Ci ha provato anche Cuadrado, a suo modo, seppur troppo riflessivo e compassato. Idem Khedira nel finale. Nella trappola del do Dragão il giocatore bianconero che ha meglio incarnato l’ordine è stato Miralem Pjanic: il bosniaco, in assenza di marcature preventive, ha provato ad accelerare i ritmi trovando però scarsa collaborazione dai compagni. Di qualità anche la performance di Alex Sandro, a referto con ben 11 cross. Suo l’assist per Dani Alves che ha sigillato la contesa, da lato a lato, come nei migliori manuali.

Non è un caso che entrambe le giocate che hanno portato al gol siano frutto di circostanze estemporanee. La svolta si è materializzata con l’ingresso di Pjaca e Dani Alves, due che fanno dell’anarchia un pregevole marchio di fabbrica. Era necessaria una sfumatura di imprevedibilità, senza mai perdere il controllo, ça va sans dire.

La rasoiata del croato che infila Casillas arriva al termine di un triangolo perfetto, peccato che a dispensare l’assist sia Layun, entrato al posto André Silva per coprire il buco di Telles (fascia sinistra, di nome e di fatto); nel caso della seconda rete, è difficile pensare che uno come Lichtsteiner si sarebbe mai trovato in area di rigore con quella licenza di uccidere. L’estro catalano di Dani Alves e l’intraprendenza di Pjaca sono stati il prezioso punto di sutura tra il rigore sostenuto da Allegri e la fantasia necessaria per infrangere gli equilibri. Anche qui, non è un caso che a risolvere una gara bloccata siano stati i due subentranti sulla catena di destra: Dani Alves e Pjaca hanno cavalcato le onde dell’intuizione laddove Lichsteiner e Cuadrado avevano nuotato seguendo la corrente.

il futuro

Salvo un clamoroso ribaltamento allo Stadium (al Porto serve uno 0-3 o, qualora la Juventus segni, vincere con due gol di scarto), i quarti di finale sono una pratica pressoché archiviata. E’ tuttavia difficile prevedere quale possa essere il futuro della Juve, considerando il trend che la Champions si sta cucendo addosso. La valanga di gol nelle altre sfide europee ha messo a nudo i difetti e le qualità delle principali rivali, amplificando di ritorno il punto di forza dei bianconeri: una solidità difficile da ravvisare altrove, costruita anzitutto sulla “mistica” della squadra anche quando c’è da far scontento qualcuno – vedi caso Bonucci. Potrebbe essere la stagione del grande salto o quella del più grande tonfo. Si aspetta un avversario più attrezzato del Porto per chiarire la definitiva linea di tendenza.