A tu per tu con Francesco Serafino

di ELISA POLVERINI – Il numero 10 sulle spalle è quello di sempre, il modo di danzare sulla palla anche, forse è pure migliorato, dall’Argentina all’Uruguay, con una breve “tappa” in Italia, la distanza è breve, per chi è nato con il calcio che gli scorre nelle vene. Francesco Serafino, classe 1997, italiano d’Argentina, attaccante, ha lasciato il bel paese quando ancora era un bambino ed è cresciuto con la maglia del Boca addosso e il mito di mostri sacri come Maradona e Riquelme, non un peso per lui, piuttosto un sogno, un grande orgoglio, calcare il prato verde della Bombonera, anche solo per un allenamento. Due anni fa, a gennaio, la voglia di cambiare, di tornare in Patria, 16 anni e l’orgoglio di chi sa quanto vale, l’hanno spinto ad accettare il Torino, scelta scellerata, una norma Fifa infatti gli ha impedito di scendere in campo in gare ufficiali, perché ancora fuori età per essere tesserato. A giugno il nuovo addio e la decisione di provare in Uruguay, nuovo anno, nuova esperienza, ed ecco l’esordio in Primera, tra le file dell’Huracan, poi purtroppo un infortunio alla mano lo tiene fuori gioco per qualche mese, ma Francesco non molla, ricomincia ad allenarsi ed aspetta la chiamata giusta, perché le offerte non mancano, ma a volte bisogna ascoltare un po’ anche il Cuore.

Ciao Francesco, com’è stata la tua prima esperienza da professionista?

Un’esperienza positiva, nonostante l’infortunio alla mano che mi ha fatto perdere molte partite.

Il calcio in Uruguay è simile all’Argentina?

Si le sue caratteristiche sono simili a quello argentino, ma in Uruguay i difensori sono ancora più duri.

Rifaresti la stessa scelta?

Dopo la frattura alla mano alla terza di campionato, forse cambierei la mia decisione, ma temo non sia possibile tornare indietro nel tempo, no? In quel momento per altro, a causa del mancato trasferimento al Toro per decisione della FIFA, non avevo molte altre opportunità per giocare, che è il mio obiettivo principale.

Hai offerte per la prossima stagione?

Credo per me, ora sia fondamentale giocare a calcio, crescere e dimostrare le mie qualità. Alcune squadre si sono interessate a me, ma io cerco una società che mi dimostri fiducia, indipendentemente dal discorso economico.

Ti piacerebbe ritentare l’esperienza italiana oppure preferiresti un altro campionato?

Perchè no? Anche se sono cresciuto calcisticamente in Argentina, sono nato in Italia, quindi sarei felice di poter giocare nel mio Paese. E’ un campionato molto difficile dal punto di vista tattico, che potrebbe garantirmi la necessaria crescita. Nella mia breve esperienza al Torino, ho capito che qui in Italia, ci sono persone di grande valore. Mi riferisco soprattutto a Mister Ventura, che mi ha insegnato tanto e si è dimostrato un grande uomo oltre che un bravo allenatore. E sono contento per lui, che abbia ricevuto un riconoscimento così prestigioso come la panchina della nazionale italiana.

Ti senti pronto per affrontare la Serie A o preferiresti un’esperienza in B ad alti livelli?

Per me non è importante la categoria, ma un Club che mi dia la possibilità di crescere senza fretta. Ho tanta voglia di allenarmi bene, di imparare e dare tutto in campo.

Hai ancora gli stessi sogni di quando eri al Boca oppure pensi ci siano cose che non sia possibile realizzare?

Nel Calcio è possibile tutto e il contrario di tutto. Continuo a sognare perché credo che chi gioca a calcio abbia bisogno di immaginare ciò che potrebbe accadere da lì a poco. Ti dà la forza di superare mille difficoltà. E poi ho appena 18 anni, ed i sogni me li merito.

Credi nel calcio o pensi si possa migliorare qualcosa?

Credo nel calcio, ma nello stesso tempo penso si possano migliorare molte cose. Una di queste è che ogni bambino o ragazzo, abbia il diritto di giocare a calcio in qualsiasi parte del Mondo in cui si trova in quel momento. Non è giusto levare il pallone a un bimbo per questioni burocratiche. E’ ingiusto.