Stop, dimentica: il calcio non ha più bandiere

STOP, dimentica, cantava Tiziano Ferro in una sua canzone. STOP, dimentica, lo pensano i tifosi. Quella di Higuain, se vogliamo, è solo l’ultima pagina di una storia che da sempre ha colpito chi è innamorato dei propri colori, dei propri scudi. Le storie dei “tradimenti” eccellenti hanno accolto solo qualche riga in più, ma sono diventate più frequenti di quanto, fino a poco tempo fa, non si potesse pensare. L’ultima generazione di Italiani, cresciuta nel segno di Zanetti, capitano e bandiera dell’Inter, Maldini, capitano e bandiera del Milan, Del Piero, capitano e bandiera della Juve e Totti, capitano e bandiera della Roma, si ritrova a fare i conti con la totale mancanza di senso di appartenenza delle nuove leve di calciatori. Il già citato capocannoniere dello scorso torneo, dopo avere giurato amore e fedeltà ai colori partenopei, ha effettuato le visite mediche con la tanto odiata rivale e avversaria per la lotta scudetto in gran segreto. Quella Juventus che in questa stagione aveva già soffiato Pjianic alla Roma. La stessa Juventus che ha comprato Benatia, ex giallorosso e per mesi in procinto di tornare alla corte di Spalletti. Tornando indietro nel tempo, Juve e Napoli furono protagoniste di un trasferimento che fece gridare al tradimento i tifosi partenopei nell’estate del 1975. Josè Altafini, grande bomber brasiliano, passò ai bianconeri e venne definito dai supporters azzurri “core n’grato”. Oltretutto, lo stesso appellativo in queste ore sta girando sui social per definire il “Pipita”.

Anche Roberto Baggio, fu protagonista di diversi trasferimenti che fecero discutere le tifoserie. Cresciuto nella Fiorentina, il suo passaggio alla Juve non fu bene accolto, ma anche i tifosi bianconeri non apprezzarono alcuni suoi gesti clamorosi. Non ultimo quello di non voler calciare un rigore proprio contro la sua ex squadra al “Franchi”, salvo poi raccogliere una sciarpa viola alla sua uscita dal campo. Baggio passò anche dalla Juve al Milan e dal Milan all’Inter, ma in realtà non ebbe mai un attaccamento reale alle maglie indossate e per questo i suoi trasferimenti ebbero poco clamore. “Peggio” di lui fece Aldo Serena, trasferitosi dall’Inter al Milan in prestito, salvo poi tornare ai nerazzurri per poi passare al Torino. Quindi ancora Inter, Juventus e per l’ennesima volta Milan. Anche per questo di lui si ricordano poco le gesta all’interno del rettangolo di gioco. Destò scalpore, ed anche reazioni piuttosto esagerate, il trasferimento di Luis Figo, dal Barcellona al Real Madrid, con una testa di maiale gettata dai tifosi del Barca in campo quando il portoghese stava battendo un tiro d’angolo. Negli anni duemila, non mancarono altre situazioni simili. Pirlo, centrocampista dell’Inter, passò al Milan per diventare uno dei giocatori più forti degli ultimi anni, per poi andare alla Juve quando i rossoneri lo scaricarono. Sempre Inter e Milan furono protagoniste quando Clarence Seedorf approdò sulla sponda rossonera nello scambio con Francesco Coco, diventando il primo giocatore nel mondo a vincere la Champions League con tre squadre diverse. Anche Filippo Inzaghi, arrivato dalla Juventus al Milan, fu criticato per le sue celebri esultanze ai gol contro i bianconeri. Pjianic non è l’unico a percorrere il tragitto Roma-Torino. Prima di lui fu Emerson a scegliere di cambiare aria andando a giocare con la Juventus, seguito a ruota dal proprio allenatore, quel Fabio Capello che pochi giorni prima in conferenza stampa aveva dichiarato con fermezza che mai avrebbe allenato la Juve. Altro caso che destò molto clamore fu quello del Fenomeno. Ronaldo Luis Nazario da Lima, cresciuto nel PSV passò al Barcellona. Moratti si innamorò di lui e riuscì a portarlo all’Inter dove il brasiliano si impose al mondo. Dopo le fortunate stagioni nerazzurre, decise di cambiare aria e si trasferì al Real Madrid, società non proprio amica dei blaugrana, salvo poi tornare in Italia e giocare con il Milan, segnando peraltro ai cugini il classico gol dell’ex. Anche Christian Vieri girò le maggiori squadre italiane, intervallando i suoi trasferimenti dalla Juventus all’Inter e dall’Inter al Milan con esperienze estere. Negli ultimi anni, chi è balzato agli onori della cronaca per i suoi continui cambi di casacca, costellati da conferenze stampa piene di contraddizioni è Zlatan Ibrahimovic. Arrivato alla Juve negli anni pre-calciopoli, allo scoppio del caso abbandonò i colori bianconeri in Serie B per andare all’Inter. Dopo le stagioni nerazzurre, lo Svedese scelse il Barcellona e l’anno successivo tornò in Italia, arrivando al Milan ed esultando al gol contro la sua ex squadra. Dal Milan all’Inter, invece, si trasferì Leonardo, accusato di avere tradito i colori rossoneri per allenare i nerazzurri. Anche all’estero, a parte il già citato caso di Luis Figo, non mancano le storie di trasferimenti non graditi dalle tifoserie. In Argentina fece scalpore il cambio di squadra di Oscar Ruggeri, passato dal Boca Juniors al River Plate. Percorso inverso fece Gabriel Omar Batistuta, prima di arrivare in Italia. In Brasile, l’ex calciatore del Barcellona Romario, prima di arrivare in Europa, si trasferì dal Flamengo alla Fluminense, non proprio delle società amiche. Anche Johann Cruyff, bandiera dell’Ajax, incrinò il rapporto con la tifoseria lancera trasferendosi, per l’ultimo anno di carriera da calciatore, al Feyenoord. In Inghilterra, a parte il trasferimento di Tevez dal Manchester United al City, con il famoso striscione dei tifosi biancazzurri “Benvenuto a Manchester”, anche Fabregas, capitano dell’Arsenal, viene considerato un “traditore” per aver scelto di tornare oltremanica, dopo l’esperienza con il Barcellona, a giocare con il Chelsea.

Ma in fondo, il bello del calcio è anche questo. Ritrovarsi contro il proprio grande amore, quel calciatore che ha fatto battere il cuore, che ha reso possibile l’impossibile. E’ più difficile trovare un calciatore che abbia voglia di essere una bandiera per la propria squadra, che comprare quello giusto per vincere. E nel calcio moderno, con i soldi che la fanno da padrone e le ambizioni di fama e gloria che dominano il terreno di gioco, questi sgarbi, questi “tradimenti”, sono una naturale conseguenza. STOP, dimentica. Perchè in fondo la storia è piena di vittorie di squadre orfane del proprio fenomeno.