Il personaggio: Massimo Moratti

Quando il presidente della Samp Ferrero, durante “Stadio Sprint”, ha lanciato una pittoresca invettiva contro Thohir e in difesa di Moratti, ha detto comunque una cosa su cui riflettere. “Non si tratta così un uomo che ha fatto tanto per il calcio italiano”, un grande attestato di stima nei confronti del nerazzurro, sicuramente condiviso da molti dei suoi colleghi per la storia che porta con sè.

Eppure era iniziata in salita, da quel 25 febbraio del 1995 in cui il nome Moratti tornò a essere indissolubilmente legato al nerazzurro. Dopo il padre Angelo, patron della Grande Inter degli anni ’60, Massimo prometteva investimenti e un rilancio del club: i soldi arrivarono, si stima oltre 700 milioni di euro di iniezioni di capitale. Ma non i successi. La Coppa Uefa del 1998, quella della finale con la Lazio e dello show di Ronaldo, operazione fortemente voluta dal Presidente, poi poco altro.

Solo tante delusioni, ripetute nel corso degli anni, col 5 maggio 2002 appendice dell’interismo, una filosofia di vita incentrata sulla coscienza che, come per Legge di Murphy, “se qualcosa può andare storto, accadrà”. Nel corso degli anni di Moratti s’è detto di tutto, dalla dissennata gestione degli acquisti (“bidoni” come Vampeta, Gresko, Okan, Rivas e via dicendo) e del patrimonio societario, fino al sospetto dei malfidenti che l’Inter fosse solo un giocattolo che veniva dato a Massimo, per non coinvolgerlo a tempo pieno negli affari della Saras, l’azienda petrolifera di famiglia. In quegli anni però il numero uno nerazzurro, con tutta la squadra, fu vittima di una serie di eventi sfortunati, disavventure e fatalità che avrebbero consigliato a chiunque di mollare.

Non un caso che Moratti abbia a più riprese consegnato le dimissioni e non abbia sempre mantenuto la presidenza in diciannove anni. Con pazienza però Moratti avrebbe presto raccolto quando seminato: nel 2006, nel caos di Calciopoli e del suo burrascoso post, l’Inter di Mancini si scoprì vincente e si ritrovò in bacheca tre scudetti, due Coppe Italia (la fu Coppa Mancio) e due Supercoppe Italiane. Successi strepitosi, ma che forse non hanno mai goduto di legittimazione presso il grande “Bar Sport” che è l’opinione pubblica italiana.

La legittimazione ci sarà più tardi, nell’estate del 2008, con l’arrivo di Mourinho e i seguenti due scudetti, accompagnati da due Supercoppe. Nel 2010, il capolavoro dello Special One, il triplete: un trionfo anche di Moratti, che alzò la Coppa ed fu presente come pochi presidenti nella storia della massima manifestazione europea. Quella magica notte di Madrid non ci fu spazio per dormire, la festa nella capitale finì all’alba e poi proseguì a Milano, in un magico sogno a occhi aperti, di quelli che si spera non finiscano mai.

I quattro anni successivi dimostrarono l’irripetibilità dell’impresa e con quella di fatto svanì pian piano l’era Moratti, sazio per un trofeo che anelava da anni e non aveva mai potuto nemmeno avvicinare. Il tramonto della seconda era Moratti coincise con l’alba di quella Thohir, che avrebbe poi assicurato una transizione graduale. Ma ancora oggi, l’indonesiano non ha conquistato il cuore degli interisti: quello è ancora per Moratti. Amato, odiato, criticato, ma nerazzurro dentro. Come il più passionale dei tifosi.