C’è un momento, col senno di poi, probabilmente cruciale per la sorte finale di Juventus-Napoli. Siamo intorno alla mezzora della ripresa. La squadra di Sarri si appresta a battere un calcio d’angolo dalla destra. Prima che il pallone si stacchi da terra l’arbitro Rocchi fischia un break per andare a redarguire i contendenti posizionati al centro dell’area di rigore bianconera. Il fischietto si dirige deciso verso la coppia Benatia-Koulibaly ed avverte chiaramente (la scena è ripresa inequivocabilmente dalle telecamere) il difensore della Juventus: non guardare l’uomo; devi guardare in direzione del pallone. L’intento del fischietto è chiaro; è un semplice monito affinché non si creino malintesi: se c’è un contatto sospetto sappi che mi costringi a fischiare rigore.
Benatia però non fa tesoro del consiglio di Rocchi. Contatti non ce ne sono. Ne sugli sviluppi di quel corner; ne qualche minuto più tardi quando, allo scoccare del novantesimo della sfida scudetto dello Stadium, il difensore bianconero, sin lì autore di una partita magistrale, continua dritto per la sua strada.
Angolo ancora dalla destra. Benatia marca a uomo Koulibaly; ma lo fa ancora una volta dando le spalle alla palla. Quando la sfera si stacca da terra iniziando la sua parabola verso il centro dell’area di rigore juventina il centrale del Napoli si libera e corre in direzione del dischetto; Benatia solo a quel punto si gira fronte palla. Ma ha una duplice necessità: capire dov’è la sfera e capire dov’è Koulibaly. Gli serve una frazione di secondo; troppo a certi livelli. Il resto è cronaca.
Ora, se il Napoli non avesse sbancato lo Stadium e riaperto di fatto il campionato quando al termine mancano solo quattro giornate di un calendario che sembra sorridere alla squadra di Sarri, oggi staremmo probabilmente parlando di altro.
Ci staremmo forse domandando perché Insigne e compagni siano saliti a Torino a fare la partita ma senza cercare veramente fino in fondo la vittoria; e staremmo forse sottovalutando, o criticando senza troppa convinzione, l’atteggiamento remissivo della Juventus che pur senza tirare mai in porta aveva comunque tenuto a distanza i rivali per la lotta scudetto. Il gol di Koulibaly ha inevitabilmente cambiato tutto. Ma noi, come ci appartiene, vogliamo tornare per un attimo a quanto successo prima che il gigante senegalese toccasse quota 2,48 metri per indirizzare la sfera alle spalle di Buffon.
Resta in piedi il processo alla Juventus. La sconfitta di ieri riporta tutto alla situazione di partenza ridimensionando la reazione da bestia ferita nell’orgoglio apprezzata a Madrid e facendo invece tornare di moda quella linea di pensiero che ad oggi, più che un dubbio, assume i contorni della semi-verità. Ovvero che quella di quest’anno è forse la Juventus più normale ed incompleta degli ultimi sette anni, quelli targati Conte-Allegri.
Lo stesso tecnico dei bianconeri sembra esserne consapevole se è vero che è da inizio stagione che ha accantonato qualsiasi pretesa di bel gioco privilegiando il pragmatismo. Prima non prenderle è la filosofia che generalmente conduce ai grandi successi. E’ anche vero, però, che il mercato estivo della Juventus sembrava propendere per un’altra strada; quello della vittoria attraverso il bel gioco. Una strada presto accantonata quando ci si è resi conto che indispettiva l’idea di una difesa non più imperforabile. Dopo l’andazzo delle prime giornate l’architetto Allegri è corso ai ripari modificando il progetto proponendo una variante a centrocampo con tre centrali e qualche sacrificio e sacrificato sugli esterni. Una mossa che ha raddrizzato le sorti della Juventus anche in Italia dove il livello della Serie A è forse a volte eccessivamente snobbato quando invece la giravolta di Allegri andava interpretata come primo campanello di allarme: se neanche in patria è possibile giocare più a due centrocampo, qualcosa in questa Juventus proprio non va.
Il sistema comunque ha funzionato a lungo. E avrebbe forse funzionato anche ieri sera se non ci fosse stato l’errore di Benatia e se la Juventus, come nelle puntate precedenti, avesse potuto contare sulla verve di Higuain (a secco da oltre 600’ tra coppe e campionato) e su quella di Paulo Dybala il cui rendimento scostante di questa stagione inizia a diventare un serio problema che andrebbe approfondito più puntualmente. Invece il piano difesa e ripartenza è rimasto monco in una sua parte essenziale. Cosa che poteva andare bene fino al minuto 89 quando i punti da gestire restavano ancora 4 con altrettante gare da giocare e con il vantaggio per altro negli scontri diretti. Una sciagura, invece, dal 90’ in poi quando il mondo bianconero si è pressoché rovesciato.
Il Napoli ha avuto il merito di capitalizzare al massimo il suo viaggio a Torino. Il gioco spumeggiante dell’undici Sarri non lo si è certo apprezzato. Anzi, ad un certo punto è diventato anche irritante vedere come il plot partenopeo restasse sempre uguale a se stesso nonostante gli assalti (più potenziali che concreti) si risolvessero nel mal di testa che si procura un moscone quando ostinatamente sbatte contro l’anta chiusa di una finestra.
L’impressione è che tanto la squadra di Sarri quanto quella di Allegri abbiano approcciato alla partita sperando nell’episodio. Al Napoli il pari poteva anche andare bene nella speranza che Buffon e soci perdessero poi punti contro Inter e Roma (fermo restando il necessario en-plein azzurro). Alla Juventus affrontare il rush finale con quattro lunghezze di vantaggio non dispiaceva dal momento che consentiva di amministrare il distacco fino a fine campionato (due vittorie nei match casalinghi con Bologna e Verona e due pari in trasferta con Inter e Roma significavano scudetto a prescindere dal ruolino di marcia del Napoli).
Il Napoli ha avuto più occasioni senza mai dare realmente l’impressione di sfiorare il gol; la Juventus ha preso un palo fortuito ad inizio gara e poi è rimasta a guardare. L’inzuccata di Koluliblay al 90’ ha cambiato tutto. I fatti, e questi contano, danno ragione ai partenopei.
Parte ora un rush finale da vivere tutto d’un fiato. Ha ragione Allegri quando dice che la sfida della Juventus di sabato prossimo a San Siro contro l’Inter è decisiva. Ritrovarsi domenica alle 21 (il Napoli è di scena a Firenze alle 18) con una situazione di classifica invariata e 90’ in meno da giocare potrebbe influenzare il labile equilibrio psicologico delle due contendenti alla vittoria finale in maniera opposta: restituendo fiducia ai bianconeri e fiaccando l’euforia dei partenopei che vedono nei nerazzurri e nella Roma gli unici due alleati per lo scudetto.
Il tutto partendo dal presupposto che il Napoli da qui alla fine non sbagli più un colpo. Perché l’euforia dopo la vittoria dello Stadium è più che giustificabile. Ma la rimonta dei partenopei non è ancora conclusa. Anzi, è appena iniziata.