Due anni fa, l’ultimo volo della Chapecoense

«O sonho acabou». Parole di Plinio David De Nes Filho, presidente del consiglio dell’Associação Chapecoense de Futebol, quando un’Arena Condá gremita attendeva solo qualche frase con cui lenire un dolore enorme. Un aereo crollato s’era portato via quella che a conti fatti era la miglior generazione della storia di una formazione giovane, nata nel 1974 dall’unione di squadre locali e in procinto di disputar la prima finale di Copa Sudamericana della sua storia, l’equivalente dell’Europa League organizzata dalla Conmebol. «Ieri mattina ho dire addio a loro, loro che avevano detto di star andando alla ricerca del sogno per rendere questo sogno una realtà. – le parole di De Nes Filho – noi siamo entusiasti, condividevamo con loro questo sogno, e il sogno è finito questa mattina». Scosso, certo, ma trovar le parole in quell’occasione era arduo: «Questo gruppo del Chapecoense, compresi gli atleti e la direzione, non era solo un gruppo di rispetto reciproco professionale, era un gruppo somigliante a una famiglia ed è stato un gruppo di amici in cui tutti ridevano molto. Anche nelle sconfitte, il nostro incoraggiamento a cercare la vittoria era costante. Abbiamo vissuto in armonia, con grande gioia». Alle parole sarebbero seguiti i fatti, tre ore di cerimonia privata all’Arena Condá, con la presenza dei presidenti di FIFA e Conmebol, Gianni Innfantino e Alejandro Domínguez. L’ultimo saluto ai guerreiros.

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Fonte: El Tribuno

La ricostruzione della tragedia

Erwin Tumiri faceva parte del personale impiegato su quel volo: «Nessuno sapeva cosa stava succedendo, tutti abbiamo pensato che saremmo andati ad atterrare perché il pilota l’aveva già annunciato e ci aspettavamo che saremmo atterrati. Tutto è stato molto veloce, da un momento all’altro l’aereo ha cominciato a vibrare, sono state spente le luci ed impostate quelle d’emergenza. Sull’aereo non c’era il panico, io ho avuto tempo per prender precauzioni. Non c’erano persone che gridavano alzandosi dai sedili, la hostess ha avvertito che stava succedendo qualcosa e allora tutte le luci si spensero. Poi cominciammo a vibrare e direttamente ci fu l’impatto, mi sono sentito male, poi mi sono svegliato a faccia in giù su un pendio». Dalla torre di controllo più vicina, le ricostruzioni sono altrettanto drammatiche: «veía cómo un avión se desgajaba desde los 7.000 metros de altura sin control». Senza controllo. Era decollato da Santa Cruz de la Sierra con 81 persone a bordo, 72 passeggeri e 9 membri dell’equipaggio. Alle 22:15 locali fu perso il contatto con la torre di controllo e poco dopo si sarebbe schiantato avvicinandosi all’aeroporto di Rionegro-José María Córdova, vicino a Medellín, rispetto alla quale dista una cinquantina di chilometri, dopo aver sorvolato le città di La Ceja e Abejorral.

Ora, l’autonomia di un Avro RJ-85 è di circa 3000 km, mentre la distanza da percorrere era di 2975 km. Il rischio innegabilmente fu lampante. La mancanza di carburante è stata il problema che secondo le ricostruzioni avrebbe causato il crollo dell’aereo, ma secondo altri vi sarebbe anche una minima parte di responsabilità imputabile al maltempo e alla forte pioggia su Medellín (che però non impedì l’atterraggio di altri voli). Le due scatole nere del quadrimotore – ritrovate intatte – hanno dato il via alla ricerca delle responsabilità, che avrebbe identificato il comandante, il signor Quiroga, come responsabile dell’accaduto. Stando al WebFlightRadar24, sito internet che consente il monitoraggio in tempo reale degli aeromobili, quel volo LaMia CP-2933 si trovava a un’altitudine di 21mila piedi – circa 6mila metri – alla velocità media di 250 nodi prima di perder quota riducendo la sua velocità e andando a cadere nella regione del Rionegro. L’ultimo segnale inviato dall’aereo proveniva a 4739 metri d’altezza. Erano le 22:15 locali e quel mezzo, di proprietà della LaMia – compagnia aerea venezuelana operante in Bolivia – aveva 17 anni e 8 mesi. L’azienda apparteneva ai British BAE Systems e secondo le radio locali era specializzata in voli charter, non di linea, alcuni dei quali trasportarono le nazionali di calcio argentina e venezuelana.

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Fonte: glbimg

Le vittime della tragedia

L’intera squadra della Chapecoense convocata per la partita contro l’Atletico Nacional era su quel volo. Detto dei tre sopravvissuti, Hélio Neto, Jackson Follmann e Alan Ruschel, l’elenco delle vittime è lungo: Ananias Eloi Castro Monteiro (27), Arthur Brasialiano Maia (24), Bruno Rangel Domingues (34), Aílton Cesar Junior Alves da Silva “Canela” (22), Cleber Santana Loureiro (36), Marcos Danilo Padilha (31), Dener Assunção Braz (25), Filipe José Machado (32), José Paiva “Gil” (29), Guilherme Gimenez de Souza, (21), Everton Kempes dos Santos Gonçalves (31), Lucas Gomes da Silva (26), Matheus Bitencourt da Silva “Biteco” (21), Sérgio Manoel Barbosa Santos (27), William Thiego de Jesus (30), Tiago da Rocha Vieira Alves “Tiaguinho” (22), Josimar Rosado da Silva Tavares (30), Marcelo Augusto Mathias da Silva (25), Mateus Lucena dos Santos (22).

Oltre a loro, alcuni membri dello staff: Luiz Carlos Saroli “Caio Júnior“, 51, Eduardo de Castro Filho “Duca“, il preparatore atletico Anderson Rodrigues Paixão Araújo (37), il preparatore dei portieri Anderson Roberto Martins “Buião“, il match analyst Luiz Felipe “Pipe” Grohs, il medico Marcio Bestene Koury (44), il fisioterapista Rafael Correa Gobbato (33), e ancora Sérgio Luis Ferreira de Jesus, Luiz Cezar Martins Cunha, Adriano Wulff Bitencourt, Cleberson Fernando da Silva, Eduardo Luiz Preuss “Cadu“, Gilberto Pace Thomas, Anderson Donizette. Il presidente della Chape, Sandro Luiz Pallaoro, insieme al vice Mauro Luiz Stumpf e ad altri (Emersson Fabio Di Domenico “Chinho“, Nilson Folle Junior, Decio Sebastião Burtet Filho, Jandir Bordignon, Mauro Dal Bello, Edir Félix De Marco, Ricardo Philippi Porto). C’erano pure Delfim Pádua Peixoto Filho, 27enne presidente della Federação Catarinense de Futebol, Daví Barela Dávi, il giornalista di TV Globo Guilherme Marques, il cameraman Ari Ferreira de Araújo Júnior, Guilherme Van der Laars e molti reporter: TV Globo aveva inviato Giovane Klein Victória, Bruno Mauri da Silva e Djalma Araújo Neto, Fox Sport s’era avvalso delle collaborazioni di Victorino Chermont, Rodrigo Santana Gonçalves, Devair Paschoalon, Lilacio Pereira Jr., Paulo Julio Clement, Mário Sérgio, dalle radio di Chapecó erano partiti insieme alla squadra André Podiacki, Laion Espíndola, Renan Agnolin, Fernando Schardong, Edson Ebeliny, Gelson Galiotto, Douglas Dorneles e Jacir Biavatti.

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Fonte: /static.poder360.com.br

Una nuova Chapecó

Da quel 28 novembre 2016, la vita a La Unión è cambiata radicalmente. Così radicalmente che questa cittadina abitata da poco più di 10mila persone oggi non esiste più, chiedendo e vedendo approvata la nuova denominazione. Oggi la si trova sul navigatore digitando “Chapecó” ed è meta di pellegrinaggi – o turisti – da ogni parte del globo, su tutti Messico, Brasile, Stati Uniti e Germania. La tragedia della Chapecoense ha in un certo senso attivato il turismo, fornendo un senso di unità all’intera comunità. Ne aveva parlato il capo dei pompieri della zona (Arquímedes Mejía) alla stampa colombiana, elogiando lo spirito di squadra adottato sin dai primi minuti dai soccorritori. Permane nostalgia, chiaro, perché ogni qual volta un aereo passa sopra le teste del territorio antioqueño emerge paura e tristezza in ricordo della Chape. I nomi dei 71 defunti, insieme a quelli dei sei superstiti, sono stati posti su una lapide a ricordo della tragedia, eretta al centro del parco che comprende gran parte dell’Antioquia Orientale. Gli abitanti della zona hanno parlato della tragedia più grande a cui hanno mai assistito, affermando di tramandarla ai figli e richiedendo l’aiuto di enti pubblici affinché finanzino quantomeno un luogo di pellegrinaggio in memoria delle vittime. Tutti, qui, si rifiutano di lasciare la Chapecoense nel dimenticatoio.

Alonso Carmona ha 67 anni e ricorda un terremoto avvertito in casa sua proprio quando l’aereo si schiantò contro la montagna. Si alzò dal letto di soprassalto, e con vista annebbiata accese la radio: dopo dieci minuti sentì la sirena delle ambulanze, dopo quattro ore vide il primo sopravvissuto condotto in ospedale. Merito di un 15enne, Johan Alexis Ramírez, che a dieci minuti dall’impatto uscì di casa per guidare i soccorritori sul luogo dell’incidente. Oggi vive in una nuova casa con la sua famiglia, 96 metri quadrati e un giardino con 71 alberi piantati, uno per ogni defunto. Nella costante attesa di un museo, atteso con impazienza per dare alla Chape, Furacão do Oeste, Verdão do Oeste e ChapeTerror un altare che ricordi degnamente quella squadra che volle dar vita al sogno che ne interruppe anzitempo la vita.