Champions League 2018/2019, appunti sparsi

La finale di Champions League 2018/2019, in programma al Wanda Metropolitano di Madrid il prossimo 1 giugno, sarà Liverpool-Tottenham. Ci si arriva al termine di due giorni di partite, le semifinali di ritorno, assolutamente pazzesche e straordinarie che ci offrono lo spunto per qualche considerazione sparsa su quanto visto fino ad ora. In attesa dell’atto finale, si intende.

Il dubbio amletico

A settembre doveva vincere la Juventus di Cristiano Ronaldo. Poi sembrava potesse essere la volta buona per il PSG. Per il City agli ottavi sembrava essersi messa in discesa. Il Barcellona appena una settimana fa sembrava infine aver ipotecato l’ennesima affermazione. Alla fine invece la finale di Champions League 2018/2019 sarà Liverpool-Tottenham. Non sappiamo dire se questa è stata l’edizione più pazza della storia. Senza ombra di dubbio però le sorprese non sono mancate. Così come non è mancato lo spettacolo. Che poi, a volerla dire tutta, dipende sempre da che punto si guarda la cosa.

Perché quanto visto in gare tipo PSG-Manchester United, City-Tottenham e soprattutto nelle due semifinali di ritorno è qualcosa che si apre a più interpretazioni. Da un lato c’è lo spettacolo offerto da squadre che difettano evidentemente nel loro DNA del gene dell’arrendevolezza. Dall’altro però c’è la completa indifferenza verso la tattica, la fase difensiva in particolare, che dovrebbe essere un po’ l’essenza del gioco del calcio.

E’ facile scegliere da che parte stare se il cuore è disinteressato. Ben vengano allora partite deliranti e gol semplicemente assurdi per certi livelli (in tal senso il 4-0 del Liverpool al Barcellona docet). Ma se foste un tifoso dell’Ajax o dei blaugrana quale sarebbe il vostro stato d’animo oggi?

Detto questo, chi vi scrive ancora oggi, pur a mente fredda, non riesce a sciogliere un dubbio amletico che lo affligge dal fischio finale della Johan Cruijff Arena: il calcio è ciò cui abbiamo assistito nei 180’ di Liverpool ed Amsterdam oppure è quello certamente meno spettacolare ma sicuramente più equilibrato che vediamo per 380 gare l’anno in Serie A? Non rispondete di getto e ricordate che solo due anni fa la Juventus era in finale a Cardiff con il Real Madrid.

Wenger e Klopp Liverpool Arsenal

Klopp, il perdente di successo

E’ alla terza finale europea in quattro anni; la quarta in sei. Ad oggi le tre precedenti le ha perse tutte. E questo dovrebbe fare di Jurgen Klopp un perdente e basta. C’è un ma. Anzi, facciamo due. Perché se è indubbio che il Borussia Dortmund non è il Bayern Monaco, il Real, il Barcellona, il City o la Juventus, qualcuno potrebbe avere invece qualcosa da obiettare quando ai tedeschi si sostituisce il Liverpool.

Un’obiezione che respingiamo al mittente fornendo un numero esemplificativo. Senza considerare realtà più blasonate, limitiamoci al confronto City-Liverpool. Dal 2015/2016 ad oggi la squadra di Manchester ha investito sul mercato 817 milioni di euro contro i 561 dei Reds; circa un terzo di differenza per intenderci. E nonostante questo i Citizens non hanno mai neanche accarezzato il sogno di un trofeo europeo (il miglior piazzamento è stata una semifinale nella stagione 2015/2016 persa con il Real Madrid). Insomma, non che il Liverpool sia una squadra di poverelli, ma è sicuramente più facile arrivare in finale con altre squadre che alla guida dei Reds (o del Borussia Dortmund). Eppure Klopp ce l’ha fatta. Senza mai festeggiare, certo. Ma chissà che prima o poi la ruota non giri.

E se così non fosse poi che importa? Klopp piace. E’ bello, bravo, intelligente e spiritoso. Uno di quelli cui ci si affeziona già facilmente; uno di quelli cui ci si affeziona a prescindere ancor di più forse proprio per questa capacità di cadere spesso sul più bello. Uno di quelli così profondamente diversi da un Pep Guardiola. Che pure lui è bello, bravo e intelligente. Ma spiritoso mica tanto. E che avrà pure vinto tutto. Ma intanto non raggiunge una finale di Champions League dal 2011.

Lionel Messi

Il solito Messi

Ah la Pulce. Lui è sempre così: per 90’ ti illude che sia definitivamente cambiato e nei 90’ successivi invece scompare come nulla fosse. Si, lo ammetto: ho una preferenza spudorata per Cristiano Ronaldo. E vi spiego perché.

Messi è un fuoriclasse. Uno di quei giocatori nati con l’incredibile dono di saper dare del tu al pallone come pochi altri al mondo. Vederlo giocare è un piacere. Le sue giocate sono spesso pura magia. I suoi numeri tra club e nazionale sono impressionanti. Il suo palmares pieno zeppo di trofei di squadra e personali. Ma non è un campione.

Un campione è quello che fa la differenza quando serve davvero. Quello che si carica la squadra sulle spalle nel momento di difficoltà. Quello che trascina un modesto Portogallo a vincere un Europeo per intenderci. Uno che magari non ha la stessa dote innata di saper dare del tu al pallone che hanno solo certi fuoriclasse; ma che, nato comunque con i piedi buoni, lavora giorno dopo giorno per imporsi a certi livelli.

Ripercorrete la carriera di Messi e Cristiano Ronaldo. Il primo certe cose le ha sempre fatte. Il secondo è arrivato a farle. L’argentino gioca di fino; il portoghese più di potenza. Il giocatore del Barꞔa è un fuoriclasse indiscusso. Quello della Juventus è un campione: perché nei momenti di difficoltà si erge a leader; mentre l’altro si eclissa.

Certo, poi resta sempre il fatto che il calcio è uno sport di squadra. E che non sempre il singolo basta a fare la differenza. O quanto meno, non ci si può affidare solo alla giocata del singolo. E così a Madrid non ci andranno né Juventus né Barcellona. Ma a livello individuale, nel confronto Ronaldo-Messi, anche in questa Champions League 2018/2019 una differenza c’è stata ed è stata evidente.

Ajax

L’inesperienza dell’Ajax

Ci hanno ammaliato. Abbiamo esaltato il loro calcio perché ne siamo rimasti affascinati. Ma più di tutto ci aveva stupito la loro personalità. Quella capacità di rimanere freddi anche nei momenti di difficoltà che non pensavamo potesse appartenere a dei ragazzi così giovani. Ed a conti fatti avevamo ragione.

Lode all’Ajax per aver sicuramente giocato il più bel calcio di questa Champions League 2018/2019. Ma uscire in questo modo è da bocciatura. Trovarsi avanti di tre gol (compreso quello segnato in trasferta) a 45’ dalla finale e farsi eliminare è sicuramente riconducibile all’inesperienza. Anche dell’allenatore. Perché i lancieri, a maggior ragione sul 2-2, avrebbero dovuto gestire la gara. Ed invece hanno continuato a fare la partita. Evitando perdite di tempo e cercando ostinatamente la rete del 3-2 (per altro sfiorata in almeno un paio di occasioni) continuando in quelle trame veloci che anziché addormentare il match hanno tenuto a galla il Tottenham.

Torniamo un po’ al punto di partenza. Atteggiamento encomiabile per gli esteti. Un po’ meno per chi nel calcio apprezza anche la razionalità. Un sistema di gioco eccezionale ma sempre uguale a se stesso che a conti fatti ha privato la squadra di Amsterdam di una finale che sarebbe stata strameritata.

Ora, il peccato sarebbe veniale se la batosta servisse da lezione per la prossima Champions League. Ma sposando la linea di Andrea Agnelli dopo Juventus-Ajax: quanti dei fuoriclasse di Erik ten Hag vestiranno ancora biancorosso il prossimo anno? Ai posteri l’ardua sentenza.

tottenham-hotspur-spurs

Il paradigma del Tottenham

Una volta lessi un’intervista in cui Briatore enucleava le tre chiavi del successo: idee, soldi ed una discreta botta di culo. Bene, il Tottenham ha riscritto il paradigma eliminando una variabile: i soldi.

Riallacciandoci ai dati utilizzati in precedenza per il confronto City-Liverpool, il Tottenham dalla stagione 2015/2016 ad oggi ha investito sul mercato 277 milioni di euro incassandone 249 per un saldo negativo di 28 milioni (noccioline). Non solo: sapete quanto hanno cubato gli acquisti degli Spurs nelle ultime due sessioni di mercato? Zero!

Si chiama programmazione. Quella capacità di costruire un circolo virtuoso durevole nel tempo. Certo, il Tottenham non vince un trofeo dalla stagione 2007/2008 (la League Cup). Ma nel frattempo è ritornato stabilmente nel gotha del calcio inglese. E se vincesse la finalissima di Madrid del prossimo 1 giugno potrebbe diventare uno di quei pochissimi club ad aver impresso indelebilmente il suo nome nella storia del calcio europeo vincendo tutte e tre le competizioni UEFA (gli Spurs vantano già due Coppe UEFA ed una Coppa delle Coppe in bacheca).

Squadra giovane (età media 26,52 anni), allenatore rampante (che potrebbe salutare Londra in caso di vittoria della Champions League 2018/2019) ed uno stadio nuovo di zecca (il terzo più grande di Inghilterra) che è costato un occhio della testa ma che sembra in grado di produrre profitti che si sommano a quelli dei della Premier ed a quelli della Champions League instaurando quel meccanismo per cui i soldi producono soldi. Che a Londra utilizzano per tenersi stretto quello che hanno senza necessariamente fare follie sul mercato. Pur con le dovute differenze, non vi ricorda un po’ quello che stanno facendo in Italia Percassi e la sua Atalanta?