Il Mondiale 2018 incombe ed il calcio russo è nel bel mezzo di una crisi sportiva e finanziaria. C’è chi dice che è tutta colpa del petrolio. Ma non è certo questa la sola verità. Il crollo del greggio del 2014 e gli anni di recessione che ne sono seguiti hanno sicuramente contribuito a ridimensionare fortemente i progetti, alcuni anche apparentemente ambiziosi, di molte delle partecipanti alla Russian Premier League. Le campagne europee dei club russi sono in tal senso emblematiche. Dopo aver a lungo inseguito il sogno di affermarsi in Europa il movimento russo nel corso degli ultimi anni ha invece ottenuto come unico risultato degno di nota il quarto di finale centrato nel 2010 dal CSKA poi sconfitto dall’Inter. Lo stesso Zenit, che a suon di rubli sembrava destinato a ricoprire un ruolo da protagonista sul palcoscenico internazionale, è finito invece a recitare la parte del comprimario. Dal 2010 ad oggi solo 4 volte in 7 anni una squadra russa ha raggiunto la fase a gironi della Champions League (lo Zenit 3 volte ed una volta il CSKA). Peggio forse è andata in Europa League dove in 7 anni solo tre volte la Russia è stata rappresentata ai quarti di finale della competizione.
Il crollo del prezzo del petrolio che per molti in Russia ha significato la necessità di stringere i cordoni della borsa, ha inciso sul calcio russo anche perché la struttura proprietaria di molti club della Russian Premier League è particolare. Basti pensare infatti che ben 26 delle 36 squadre che popolano le prime due divisioni professionistiche sono in mano ad enti locali o di proprietà di imprese statali. La spending review ha così colpito in primis le società di calcio.
La vittima più illustre è senza dubbio la Dinamo Mosca, una delle squadre più antiche di Russia insieme allo Spartak. Il club venne fondato nel 1887 e così come altre squadre era di proprietà dello Stato ed in particolare della Čeka, la polizia segreta creata da Lenin. A fare concorrenza alla Dinamo nella sola Mosca c’erano poi la Lokomotiv, di proprietà (come suggerisce il nome) delle ferrovie, la Torpedo, controllata dalla Torpedo-ZiL, una nota società automobilistica, ed il CSKA che era la squadra dell’Armata Rossa. In virtù della sua associazione con la polizia di Stato, la Dinamo è sempre stata considerata la squadra del regime e non ha mai goduto di grandissimo seguito. Nonostante ciò, anche il club negli ultimi anni aveva potuto beneficiare della crescita economica e della nuova ricchezza che aveva investito la Russia ed il calcio russo con le società statali pronte ad investire ingenti capitali nei club del Paese. È stato questo ad esempio anche il caso della Gazprom con lo Zenit San Pietroburgo. Ed è stato il caso della Dinamo che ha beneficiato dei capitali iniettati dalla VTB, una nota banca statale.
A suon di rubli sono stati attirati a Mosca, non senza difficoltà, diversi giocatori alcuni dei quali anche di discreta caratura internazionale. Basti pensare che ad indossare la maglia della Dinamo in tempi recenti sono stati tra gli altri Valbuena, William Vainqueur che vanta anche un trascorso nella Roma, Kevin Kuranyi, centravanti tedesco dal passato glorioso, e poi i due gioielli Aleksandr Kokorin e Yuri Zhirkov ceduti una volta esplosa la crisi ai rivali dello Zenit. Perché la Dinamo alla fine dello scorso anno è stata letteralmente regalata dalla VTB che nel frattempo aveva creato un buco da 13 miliardi di rubli. I primi sentori della crisi si erano avuti già due anni fa quando era emerso che l’istituto bancario aveva versato a titolo di sponsorizzazione somme ben più elevate di quelle previste dal relativo contratto. Una mossa che sarebbe dovuta servire a coprire (in tutti i sensi) parte del deficit accumulato e consentire così al club di non incorrere nelle sanzioni previste dal Fair Play finanziario. Sanzioni che invece sono state regolarmente comminate e che hanno costretto la società a privarsi dei suoi migliori giocatori imboccando la via che ha comunque portato ad un ormai inesorabile disastro sportivo e finanziario. La VTB ha così ceduto le sue quote, pari a circa il 75% del pacchetto, a membri di polizia e dell’esercito che già detenevano il restante 25%. Non ha invece rinunciato all’investimento nel nuovo stadio che ospiterà la Dinamo che, attualmente, milita in seconda divisione.
Ma non è quello della Dinamo un caso isolato. Recentemente è infatti emerso che anche il Rostov, qualche settimana fa eliminato dal Manchester United agli ottavi di Europa League, ha i suoi problemi. I giocatori infatti vanterebbero crediti ingenti per stipendi non versati ed il club è stato messo in vendita dopo aver perso una importante sponsorizzazione dal magnate del tabacco, nonché deputato, Ivan Savvidi che, guarda caso, è anche tra i principali indiziati per l’acquisto.
Perché il calcio russo, oltre che dallo scarso appeal, è senza ombra di dubbio flagellato da un’altra bega ovvero una gestione affidata a personaggi non sempre trasparenti. Ma andiamo con ordine. In merito al primo punto è probabilmente sufficiente fornire un dato: la Russian Premier League incassa infatti appena 40 milioni di euro per i diritti televisivi. Una vera e propria miseria se paragonata ai campionati top in Europa dove, limitandoci al solo caso della Serie A, le cifre si aggirano sul miliardo di euro. Relativamente al secondo aspetto invece, è innegabile che il sistema russo favorisca la corruzione e comportamenti che definire loschi è un eufemismo. È veramente molto difficile capire la reale situazione contabile di alcuni club; fatto paradossale se si pensa che si tratta, come visto, prevalentemente di società a partecipazione statale. A ciò si aggiunge una gestione finalizzata a gettare fumo negli occhi pur di attrarre investimenti e creare terreno fertile alla realizzazione di interessi che non sempre hanno a che fare con il mero aspetto sportivo. Toke Theilade, un giornalista sportivo russo intervistato qualche tempo fa dal sito del New Yorker in merito alla situazione della Dinamo Mosca, ha ad esempio raccontato che molti magnati proprietari dei club quando gli stadi sono vuoti acquistano migliaia di biglietti per aumentare il dato teorico degli spettatori paganti al fine di attrarre sponsor.
La crisi sportiva e finanziaria del calcio russo è dunque figlia degli eccessi che in un ambiente troppo spesso torbido, fatto di affari ed affaristi, hanno trovato terreno fertile. È figlia di un sistema oligarchico dove corruzione e inciucio sono le parole d’ordine. È figlia insomma della Russia stessa.