Il personaggio: Rudi Garcia

Incalzato dalla stampa durante la conferenza di sabato, Rudi Garcia ha continuato a dire che sì, lo scudetto è ancora un traguardo alla portata del suo gruppo. Perché lavora coi suoi da oltre sedici mesi e sa di cosa sono capaci.
Sembra ieri, ma è passato quasi un anno e mezzo da quando la Roma presentava il suo nuovo allenatore, tra la curiosità di una piazza che non conosceva il suo nome e doveva spulciare sui giornali informazioni per poter far partire la discussione in quel circo che è il discorso sul calcio giallorosso, che a Roma s’estrinseca tra i bar e i talk delle radio cittadine.

Oggi, Rudi Garcia è il nome quando si parla di Roma, il personaggio principale a Trigoria, con un carisma che oscura tutti. È indiscusso e indiscutibile, ha dato alla Roma i mezzi per diventare una grande italiana e per lottare per un traguardo che manca dagli inizi del nuovo millenio; ha dato alla sua squadra una precisa identità tattica, apprezzata da molti per il bel gioco e la sua cattiveria.

Siamo di fronte a un grande allenatore, però…c’è sempre un ma. Il gioco della Roma è sensibilmente calato col doppio impegno, si esprime con discontinuità e viaggia su ritmi più bassi. L’organico corto, complici gli infortuni, ha complicato le cose, mentre la tenuta del campo della squadra non supera l’ora di gioco: in estate, la scelta di aver portato in rosa l’ex preparatore di Petkovic alla Lazio, la sua vecchia conoscenza Paolo Rongoni, non pare aver pagato.

Contro le piccole si vince per via del maggior tasso tecnico, discorso diverso contro le squadre più ostiche. Va ricordato che la Roma quest’anno ha strappato il 2-0 alla Fiorentina orfana di Cuadrado rischiando qualcosa (la traversa di Ilicic e un paio di miracoli di De Sanctis hanno consentito la vittoria), non è andata oltre lo 0-0 a Genova con la Samp e ha perso i due scontri diretti con Napoli e Juve, Rocchi o non Rocchi. Quella degli scontri diretti comincia a diventare una bella gatta da pelare per Garcia.

Sei partite, tre punti, quattro gol fatti (due su calcio da fermo), dieci reti subite. Sono i numeri dell’allenatore giallorosso contro Juve e Napoli: anche togliendo il Rocchi-game e l’inutile 1-0 firmato da Osvaldo alla fine dello scorso campionato, un bilancio sconfortante, con l’unica perla del 2-0 interno con i partenopei propiziato dalla magia di Miralem Pjanic. Analizzando un po’ queste partite, la Roma non ha difettato in fase di costruzione, ma negli ultimi 20-25 metri: il gioco offensivo della Roma ha faticato a costruire, trovando raramente contro difese più organizzate le giocate in velocità di Gervinho, variabile più imprevedibile nello scacchiere di Garcia. Manca un punto di riferimento davanti e quando c’è, con Destro, non viene servito adeguatamente.

Lo stesso discorso si potrebbe fare in Europa, dove comunque la Roma è in gioco. Anche lì, grazie al rendimento contre le ”piccole”. Le ultime due partite hanno reso evidente come il Manchester City sia una finta big europea, abituata com’è ad autentiche figure barbine per anni in Europa e a non andare oltre gli ottavi, mentre il CSKA è una squadra che i giallorossi possono battere quando vogliono, checché ne dica Sabatini. Il complessivo 1-9 contro il Bayern con un ritorno speculativo ha mostrato come la Roma, in Europa, debba purtroppo abbandonare le proprie idee di gioco, dedicarsi a un calcio più sparagnino e sperare di sfangarla, per fare risultato contro le big.

Garcia fino a oggi ha dipinto un eccellente quadro, dando alla Roma un’invicibilità contro le piccole che nessuno s’aspettava, ma per fare il capolavoro deve adattare il suo gioco alle formazioni al livello del suo organico. Assistiamo oggi a una Roma che smentisce la storia: fino a quest’anno romanisti e opinionisti hanno sempre pensato che la Juve vincesse i campionati grazie al rendimento contro le piccole, ai limiti della perfezione. Quest’anno la musica però è cambiata, i giallorossi sembrano in grado di giocarsela o fare meglio contro le formazioni minori. Ma per raggiungere l’agognato tricolore, Garcia deve iniziare a vincere qualche partita pesante.