Cosa abbiamo imparato da Lazio-Milan

Il match dell’Olimpico Lazio-Milan, chiusosi sull’1-1 grazie alle reti di Biglia (rigore) e Suso, riesce probabilmente a spiegare meglio di qualsiasi altra cosa perché il calcio è lo sport più seguito e che più appassiona al mondo. È infatti veramente difficile trovare un altro gioco dove il risultato finale non è necessariamente emblematico dei valori espressi in campo dagli sfidanti. È questa imprevedibilità, questa costante apertura all’imponderabile che rende il calcio così affascinante. Uno dei pochi sport al mondo dove tutto è veramente possibile. Il palcoscenico ideale affinché la favola di Davide e Golia si trasformi in realtà. Lo sport dove è possibile che una squadra domini l’incontro per 85′ senza subire un tiro in porta eppure al fischio finale i contendenti si spartiscono equamente la posta in palio. Questo è stato infatti, seppur in estrema sintesi, il copione di Lazio-Milan.

La squadra di Inzaghi ha dominato in lungo ed in largo l’incontro ma ha avuto il demerito di non concretizzare l’enorme mole di gioco prodotta ed i venti tiri effettuati di cui circa il 50% nello specchio della porta. Demerito della Lazio in primis, certo. Ma merito anche di Gigi Donnarumma. Il portierone rossonero è un patrimonio non solo del Milan ma di tutto il calcio nazionale. La parata su Hoedt è puro istinto. Quella su Immobile è pura bravura. Per il resto ciò che più è disarmante del diciottenne estremo difensore milanista è la sua capacità di far apparire semplici anche interventi che di banale hanno ben poco. Leggasi in tal senso la parata sul bolide dalla distanza di Biglia nel primo tempo. Se la stessa reattività l’avesse avuta anche Strakosha dall’altro lato forse il risultato finale sarebbe stato diverso. Così come la Lazio avrebbe potuto portare a casa i tre punti se avesse avuto la cattiveria necessaria per chiudere l’incontro. Cosa che è mancata insieme alla lucidità sotto porta. È inconcepibile segnare solo su calcio di rigore dopo aver creato almeno dieci palle gol. Vizio questo atavico per i biancocelesti e che rischia di pesare caro quando a fine stagione sarà tempo di bilanci. Così come inizia a pesare il fatto che Immobile su 12 gol messi a segno in stagione non è mai riuscito a far male ad una big. Qualcosa dovrà pure voler dire.

Nonostante i due punti persi ci sono però almeno tre note positive per la Lazio. In ordine sparso, la prima è rappresentata dalla ritrovata verve di Biglia che dopo i segnali di risveglio di Pescara, test forse non particolarmente significativo, anche in un match probante come quello di ieri sera si è ricordato di essere un regista ancor prima che un incontrista. La seconda è rappresentata dalla tenuta della coppia De Vrij-Hoedt. Il duo orange funziona e Hoedt, sebbene ancora troppo lento nell’uno contro uno (Suso ringrazia), continua a dimostrare ottime doti anche in fase di impostazione. Un’ottima soluzione alternativa nelle giornate di appannamento di Biglia. È proprio il piede dell’olandese ad aver lanciato in profondità il più delle volte Felipe Anderson. Il brasiliano sta attraversando un grande periodo di forma e la sua è una stagione sin qui all’insegna della continuità. Un patrimonio ritrovato che non va assolutamente depauperato. Vangioni ha ancora il mal di testa.

Eccoci alle note dolenti. Il match dell’Olimpico ha dimostrato l’inadeguatezza delle rose di Lazio e Milan per poter infastidire seriamente i piani alti. I rossoneri sono scesi in campo all’Olimpico in formazione ampiamente rimaneggiata. Vangioni si è dimostrato inadeguato per certi livelli. Gomez quasi. La Lazio ha cominciato con Felipe Anderson e Keita ed incassato il pari si è ritrovata a giocarsi l’assalto finale con Lulic e Lombardi. Insomma, mancano i ricambi. Non mancano invece le idee ai due tecnici, Inzaghi e Montella. Il mister biancoceleste è molto bravo a preparare le partite in settimana. Lo è meno però a trovare la chiave di lettura a match in corso. Diciamolo chiaramente, Inzaghi spesso e volentieri tarda i cambi, che siano di interpreti o di moduli, e spesso e volentieri li sbaglia. Gli innesti di Patric e Lombardi con il risultato di parità appena ristabilitosi è apparso privo di logica. Montella viceversa è un tecnico bravo a raddrizzare la rotta. L’aeroplanino ha puntato in partenza su Locatelli in regia e Suso falso nueve. Il giovane numero 73 va bene quando gioca come interno mentre lo spagnolo è devastante se parte largo e non invece come pendolo, in teoria di movimento, in un tridente apparso invece compassato e statico. È bastato però inserire un giocatore dai piedi educati ed una discreta visione come Sosa ed un centravanti di ruolo, Lapadula (il rapporto con Bacca è ormai logoro?) perché il Milan trovasse finalmente quel guizzo che gli era mancato per la prima ora abbondante di gioco. Certo, resta sempre il fatto che in sostanza l’1-1 finale scontenta tutti.