Sessantacinquesima edizione della UEFA Champions League, la ventottesima con l’attuale formula. Un torneo iniziato il 25 giugno 2019 con la speranza di concluderlo il 30 maggio 2020 a Istanbul, mentre oggi sappiamo che la finale sarà allo stadio da Luz di Lisbona, domenica 23 agosto 2020. La pandemia da nuovo coronavirus ha però cambiato il corso della storia e così, mercoledì 17 giugno, ecco l’ufficialità dell’UEFA circa la nuova modalità d’assegnazione dell’ex Coppa dei Campioni: le Final Eight a Lisbona. Date ravvicinate, col merito di diminuire il gap eliminando la classica formula di andata e ritorno. Un dentro o fuori da 90’, la repentina corsa ai posti per la finale, il susseguirsi – sera dopo sera – di partite a brevissimo giro di posta. In un parallelo sistema di riforma del calcio, con l’introduzione delle tre slot da 5 sostituzioni complessive escludendo l’intervallo tra primo e secondo tempo, ecco arrivare le prime innegabili sorprese. L’atroce eliminazione dell’Atalanta sarebbe stata la prima di quattro incredibili quarti di finale, tappe d’avvicinamento a un folle Ferragosto di Champions League. Riviviamo dunque assieme un weekend di pura, emozionante, sana follia.
Mercoledì 12 agosto – Atalanta-PSG 1-2
(26’ Pasalic – 90’ Marquinhos, 90’+3 Choupo-Moting)
Tutto è accaduto nel recupero, al termine di una gara che aveva visto stremati i bergamaschi di Gasperini: il blitz di Marquinhos e la beffa firmata Choupo-Moting, a 25 anni di distanza dall’ultima semifinale disputata dagli orobici, hanno stoppato una corsa incredibile. Un percorso di resistenza e sofferenza, incagliatosi dinanzi alla seconda semifinale centrata nella storia del PSG, la prima della presidenza qatariota (l’altra nel 1995). «Ce l’avevamo quasi fatta, peccato per quel gol allo scadere» ha commentato un rammaricato Gian Piero Gasperini, preso in giro da Domenech ma capace di svoltare un percorso di tre sconfitte consecutive (tra cui il pesantissimo debutto, il 4-0 di Zagabria) fino a umiliare con un 8-4 complessivo il Valencia, trascinato da un Iličić in gran forma. Un finale crudele per un’annata storica, al netto della retorica e di un confronto economicamente impari col PSG che però negli ultimi 5 mesi aveva giocato due sole partite ufficiali per lo stop anticipato alla stagione di Ligue 1 (ma che, sotto la presidenza Al-Khelaifi, ha pur sempre investiti nei trasferimenti 1,3 miliardi dal 2011 a oggi). Insomma, che resta? Restano la favola, l’hashtag #molamia, una stagione spezzata a metà dalla pandemia che ha colpito Bergamo più duramente di altre città. Un dato: l’Atalanta è l’ultima esordiente approdata ai quarti di finali, rilevando il primato dal Leicester nella Champions League 2016/17. Peccato, ma anche l’orgoglio che L’Eco di Bergamo ha piazzato in prima pagina la mattina seguente, nonostante il blitz di due eroi assolutamente insospettabili. Ma globalmente la differenza l’hanno fatta i campioni, e di questa emozionante campagna di Champions rimarranno pure il Gewiss Stadium tirato a lucido (35 milioni investiti nei lavori) e l’apprendimento. Due componenti fondamentali per far sì che il 2019/20 non sia stata solo una chimera.
Giovedì 13 agosto – Lipsia-Atlético 2-1
(50’ Olmo, 88’ Adams – 71’ rig. Félix)
Per rendere Julian Nagelsmann l’allenatore più giovane di sempre a giocarsi le semifinali di Champions League, c’è voluto un insieme di circostanze. Un tiro deviato al minuto 88’ contro la squadra – l’Atlético – non solo capace di eliminare i campioni d’Europa in carica, il Liverpool, ma pure osticamente attaccata all’ossessione portoghese da sfatare dopo il 2014. Nulla di fatto: dopo il Real, è crollato anche il Cholo Simeone. Merito del Lipsia di Nagelsmann (33 anni compiuti il 23 luglio scorso, legato da ammirazione e riconoscenza a Thomas Tuchel) e della prima rete di un americano nei quarti di Champions, Tyler Adams, propiziata da una sfortunata deviazione di Savic a ingannare Oblak. Nagelsmann ha applaudito l’aver eliminato «uno dei migliori allenatori al mondo», Simeone s’è complimentato col Lipsia per la freschezza atletica. Così, nella serata in cui João Félix entrato a gara in corso rischia di restare un rimpianto, il progetto della Red Bull rende il Lipsia la quarta squadra tedesca a raggiungere le semifinali (dopo Bayern, Borussia Dortmund e lo Schalke 04 del 2010/11). A nulla sono serviti i precedenti del 2014/15 e 2016/17, quando rispettivamente i Colchoneros eliminarono Bayer Leverkusen e Bayern Monaco: interrotta la striscia positiva contro le tedesche, alla quinta volta su sette anni in cui i biancorossi hanno raggiunto i quarti di finale. L’Atlético ha poi mancato due occasioni ghiottissime: non solo senza il Real Madrid e senza Cristiano Ronaldo non era mai stato eliminato dalla fase finale di Champions durante la gestione Simeone, ma – battuto il Liverpool – avrebbe potuto rubare al Real Madrid 2013/14 il fatto di estromettere i campioni in carica e prendersi la Coppa. E invece, oggi, l’Atlético resta mestamente il club che ha giocato più finali dell’ex Coppa dei Campioni (3) senza mai vincerne una.
Venerdì 14 agosto Bayern-Barcellona 8-2
(7’ aut. Alaba, 57’ Suárez – 4’ e 31’ Müller, 21’ Perisic, 37’ Gnabry, 63’ Kimmich, 82’ Lewandowski, 85’ e 89’ Coutinho)
Per allestire l’undici in campo del Bayern Monaco, s’è speso meno dei 120 milioni con cui il Barcellona pagò al Liverpool Philippe Coutinho, il 6 gennaio 2018. Il 16 agosto 2019, il Barcellona cedette in prestito oneroso il brasiliano ai bavaresi, per 8,5 milioni, e a quasi un anno di distanza ecco la doppietta nell’umiliante 8-2 rifilato ai blaugrana. Senza esultare, con ulteriore beffa: se Coutinho vincesse la Champions, il Barça dovrebbe pagare al Liverpool 5 milioni di euro previsti come bonus. Poco importa non vinca col Barcellona, stigmatizzato in quella foto strappata dai giornalisti ritraente ter Stegen in piedi sulla porta dello spogliatoio e lo sguardo perso di un Lionel Messi alla quarta débâcle consecutiva: nel 2017 la Juventus (3-0 complessivo, doppietta di Dybala a Torino), nel 2018 la Roma (3-0 all’Olimpico il 10 aprile e celeberrima esultanza di Manolas), nel 2019 il Liverpool (capace di rimontare il 3-0 del Camp Nou col 4-0 ad Anfield, doppiette di Origi e Wijnaldum e celeberrimo corner battuto in fretta da Alexander-Arnold). Si sprecano i numeri di un crollo impressionante: il 50° gol in 60 presenze di Lewandowski incensa la prima volta che il Barça incassa 8 reti in una competizione europea (globalmente mancavano dal 1946, in Coppa del Re col Siviglia). Il Bayern Monaco aveva vinto tutte le 8 partite di Champions finora disputate, rivitalizzato dalla cura Hans-Dieter Flick. Eppure, lo scontro tra due squadre con più apparizioni in Champions (18) ha premiato il Bayern sebbene l’ultimo precedente (2014/15) avesse visto i catalani – una volta sconfitti i tedeschi – vincere la Champions League in finale sulla Juventus di Max Allegri. Per la prima volta dal 2007/08, il Barcellona non vincerà neppure un trofeo. E partirà la rivoluzione, annunciata dalle parole al vetriolo di Gerard Piqué.
Sabato 15 agosto – City-Lione 1-3
(69’ De Bruyne – 24’ Cornet, 79’ e 87’ Dembélé)
Se Atene piange, Sparta non ride. Rudi Garcia, nonostante un deludente settimo posto in Ligue 1 con conseguente anno sabbatico dalle Coppe (a meno di vittoria della Champions, naturalmente), ha riportato il Lione ai quarti di finale per la prima volta dal 2009/10. Eliminata la Juventus di Cristiano Ronaldo, aveva di fronte un Manchester City alla quarta partecipazione ai quarti nelle ultime cinque stagioni. Un filotto che però si perde a questo punto, sicché solo nel 2015/16 i Citizens – eliminando il PSG – staccarono il pass per le semifinali. Gli stessi Citizens che nelle ultime 17 partite di Champions avevano perso una volta sola – contro il Tottenham – avevano una voglia matta di riabilitare la nomea di Guardiola. Nulla di fatto: col suo curioso 3-5-2 speculare, Pep resta a 7 semifinali, una in meno di Mourinho, una in più che lo separa dall’ultima sua Champions vinta – ormai – nel lontano 2011. Contro il Real, Raheem Sterling ha segnato il suo 20° gol in Champions e mai, quando l’ex Liverpool ha segnato, il City ha perso (16 gare, 14 vittorie). Ecco, appunto, il suo errore clamoroso sottoporta all’84’. «Siamo fuori, quel che abbiamo fatto non è bastato. Un giorno riusciremo a spezzare l’incantesimo, in questa competizione la tattica non è la cosa più importante – ha spiegato Pep – l’errore di Sterling è la foto di questa coppa. Devi pareggiare, vai al supplementare, non puoi commettere errori simili. Alla fine li paghi, e così siamo fuori ancora». Rudi Garcia s’è invece complimentato coi suoi ragazzi rivelando un’intima speranza: «Ora vediamo se riusciremo a trovare il PSG più avanti». Chissà che, in una Champions League più che mai così strana, tra il gol à la Roberto Carlos di Maxwel Cornet e la doppietta del subentrato Dembélé, non possa davvero accadere.