Ranieri spiazza la Premier League, la favola del calcio inglese che non ha il coraggio di cambiare

Con la vittoria del titolo da parte del Leicester di Ranieri il campionato inglese ha attirato l’interesse di tutto il mondo, conquistandosi di prepotenza l’immagine della competizione meritocratica per eccellenza, avvincente, equilibrata, divertente, attraente e quindi imperdibile. Passata la sbornia e lo stupore per aver assistito alla realizzazione di una favola qualcuno potrebbe iniziare però a chiedersi come abbiano potuto corazzate dotate di campioni assoluti a livello tecnico farsi sorprendere da una squadra composta da giocatori modesti, eccezion fatta per il talentuoso Mahrez. Le Foxies hanno strappato uno scudetto sotto il naso dei vari City, Tottenham, Arsenal e compagnia bella semplicemente difendendosi e ripartendo in velocità, e non a caso il c.t. alla guida dei protagonisti non è inglese. Com’è possibile che nessuno sia riuscito a fermare nel lungo periodo una mandria di ex scarti della massima serie inglese dotati di un grande spirito di sacrificio?

La risposta come sempre non è mai una sola, ma proviamo a ricercare le ragioni nella storia e nella tradizione di quella nazione curiosa ed orgogliosa allo stesso tempo che è l’Inghilterra. Essendo un’isola, la Gran Bretagna ad un certo punto della sua storia ha avuto bisogno di espandersi per mantenersi e soddisfare ai propri bisogni sempre crescenti, soprattutto dopo le contaminazioni dovute ai primi attacchi da parte delle popolazioni del continente. Fondamentale fu il ruolo giocato dalla Royal Navy, la potentissima flotta che garantì la massima espansione territoriale alla madre patria, fino alla conquista di numerose colonie. Prendendo in considerazione gli ultimi due secoli e mezzo, le battaglie leggendarie della marina inglese si svolsero sempre molto lontano dalle coste domestiche, sempre alla scoperta di nuovi territori, sempre all’attacco di nuovi popoli. Come nella guerra così negli scacchi la scuola inglese ottocentesca ha sempre predicato l’imposizione del proprio gioco, attaccando con aggressività a partire dall’apertura senza lasciare all’avversario il tempo di reagire. Anche nel calcio, con l’eccezione di questa insolita stagione, il palato dei tifosi britannici ha sempre preteso una propensione offensiva da pare delle squadre del cuore, mentre è sempre stata una questione d’onore non adeguarsi alla tattica del nemico sportivo ma prevalere con l’applicazione della tattica prescelta, ovviamente votata all’offesa.

Il problema potrebbe quindi risiedere non nella tattica (ovvero nel modo di impiegare le risorse a disposizione), ma nella strategia, in poche parole un piano che guardi al lungo periodo oltre che alla singola partita. E’ difficile colpevolizzare le prime dieci – quindici avversarie del Leicester, che tutto sommato hanno potuto pensare che la forma fisica a e la fortuna avessero potuto aiutare le Foxies nelle prime battaglie vinte. La vera lacuna è stata quella di non capire che continuare a catapultarsi in avanti sarebbe stato deleterio, emblematica la sconfitta casalinga per 1-3 del Manchester City. I risultati in Champions League negli ultimi anni per le squadre inglesi non sono stati esaltanti, senza neanche parlare della nazionale, dove tutto il miope fanatismo della mentalità isolana può trovare sfogo in giorni di qualificazione di fuoco per spegnersi in grandi delusioni nei primi turni delle fasi finali di ogni campionato Mondiale ed Europeo. Le uniche due battaglie in cui la Royal Navy fu parzialmente sconfitta si tennero in occasione delle guerre napoleoniche, in cui i francesi cedettero sul piano tattico ma misero in seria difficoltà le flotte inglesi sul piano strategico. Sarebbe ora per il calcio inglese di investire di meno e di osservare con più umiltà il calcio estero, che sarà in alcuni casi inferiore tecnicamente ma che sul piano dell’organizzazione del gioco ha tanto da insegnare; il rischio è di affondare alla deriva sotto i colpi della prima nave pirata con a bordo quattro filibustieri logorati dal sale e dal sole, ma che si portano ancora dietro il bagaglio della conoscenza delle culture del mondo.