Serie A, la ventinovesima giornata in 5 (s)punti

Archiviata la ventinovesima giornata di Serie A ecco la nostra consueta analisi in 5 punti. Un approfondimento sui principali fatti e personaggi di un turno di campionato che per quanto interlocutorio restituisce comunque alcune indicazioni importanti per cercare di anticipare quale sarà l’esito finale di questa stagione.

Difficile infatti che la Juventus si lasci sfuggire il sesto scudetto consecutivo. Servirebbe un proprio e vero cataclisma. Così come la classifica sembra ormai consentire di delineare abbastanza chiaramente chi lotterà per cosa (e chi no). Ma andiamo con ordine.

La Juve fa Cuadrado

Probabilmente la vera arma segreta della Juventus di Allegri in questa stagione è Juan Cuadrado. Il colombiano, a prescindere dal gol vittoria messo a segno ieri a Marassi contro la Sampdoria, è il vero jolly dei bianconeri. L’uomo che restituisce equilibrio; quello senza il quale la Juventus non potrebbe permettersi quel 4-2-3-1 che invece sembra sempre più un abito fatto su misura per Madama. E’ con questo modulo che la Juventus ha trovato il giusto assetto per allungare in Italia e giocarsela apertamente con le big d’Europa in Champions League. Cuadrado, inoltre, sta diventando anche un talismano. Sua la firma per tre 1-0 decisivi per il cammino dei bianconeri: il gol vittoria a Lione, quello contro l’Inter e ieri, infine, quello ai blucerchiati. Lo scorso anno la stagione della Juventus cambiò radicalmente dopo la zampata vincente del colombiano al 93’ di un tiratissimo Juventus-Torino. I tre punti strappati ieri a Marassi, quando alla fine del campionato mancano nove giornate, hanno il sapore della sentenza. Non a caso nella serata di ieri, dalla pancia dello Stadio Olimpico di Roma, James Pallotta parlava apertamente di corsa per il secondo posto.

Si è spaccata la classifica

Gli stop di Lazio ed Inter e le vittorie di Napoli e Roma spaccano definitivamente la classifica in quattro tronconi. Se la Juventus sembra ormai destinata a veleggiare tranquilla verso il suo sesto scudetto consecutivo, giallorossi e partenopei sembrano invece i maggiori indiziati per la contesa Champions dove a vincere sarà chi la spunterà nella lotta al secondo posto, quello che vale l’accesso diretto alla fase a gironi. Più difficile che possano tornare in corsa Lazio ed Inter sebbene debbano disputarsi ancora tutti gli scontri diretti tra i nerazzurri, i biancocelesti ed i campani con la squadra di Inzaghi che potrebbe avere dalla sua il fattore campo. Tuttavia, le difficoltà legate alla rosa corta di Lazio ed Inter, emerse con veemenza nel fine settimana, relega più plausibilmente le due compagini alla lotta per l’Europa League che vede coinvolte anche Atalanta e Milan. La finale di Coppa Italia, considerato che le semifinali coinvolgono le prime quattro della classe, potrebbe far si che sia una sola delle quattro contendenti a restare fuori dall’Europa. La principale indiziata ad oggi? Il Milan. C’è poi, dalla Fiorentina all’Empoli, una larga fetta di Serie A che può già programmare con calma la prossima stagione. Il discorso salvezza, infatti, sembra bello che chiuso. Nonostante la squadra di Martusciello le provi tutte per prolungare l’agonia di Palermo e Crotone.

Effetto Zeman

A proposito di lotta salvezza, che fine ha fatto l’effetto Zeman? La roboante vittoria ottenuta dal boemo all’esordio sulla panchina degli abruzzesi contro il Genoa aveva illuso qualcuno. Fortunatamente ben pochi. Fermo restando che i suoi modi e metodi di allenamento possono eventualmente rivelarsi efficaci quando il tecnico ha a disposizione una squadra giovane, cosa che il Pescara è, e la possibilità di dirigere le operazioni sin dal ritiro, resta anche il fatto che Zdenek Zeman non può più essere considerato un allenatore adeguato per certi livelli. E’ la storia recente del boemo a dimostrarlo visto che dopo le fallimentari esperienze di Roma e Cagliari il tecnico sta infettando con la sua decadenza anche Pescara. Dove per prendere tre gol a partita avrebbero pure potuto tenere Oddo.

Il vittimismo di Sarri e Spalletti

Oltre che nella corsa alla qualificazione diretta in Champions Sarri e Spalletti si stanno rendendo protagonisti di un testa a testa avvincente per accaparrarsi lo scettro di allenatore più antipatico della stagione 2016/2017. Il tecnico della Roma è ormai ineluttabilmente preda del morbo del vittimismo tanto da essersi incartato in una polemica che non si capisce più se abbia come destinatari la proprietà americana, la stampa capitolina od i giocatori stessi. Anche ieri sera, più volte sollecitato dallo studio di Sky, dopo venti minuti di intervento non ci si è capito nulla. Anzi, la chiosa finale puntando il dito contro Di Francesco che si sarebbe offerto di allenare la Roma è stata a tratti ridicola. Su una cosa, tuttavia, si può essere d’accordo con Spalletti: se un allenatore sbandiera per una stagione intera che chiudere senza vincere un trofeo sarebbe un fallimento, allora, se ciò avviene, deve dimettersi. C’è ancora il ritorno della semifinale di Coppa Italia con la Lazio da preparare. Meno chiacchiere!

Discorso analogo vale per il collega Sarri. Dopo i ripetuti siparietti tra lui e De Laurentiis ieri il tecnico toscano è intervenuto nel post partita di Empoli per urlare al mondo intero che: “Negli ultimi 5 anticipi delle 12.30 in 2-3 siamo stati coinvolti noi. E’ un orario in cui nessuno vuole giocare, ma la differenza tra me e gli altri è che io lo dico che mi fa schifo giocare a quest’ora”. Fermo restando che sul concetto si potrebbe anche essere d’accordo, restano però alcuni fatti da analizzare. Il primo è che gli orari vengono decisi e gestiti dalla Lega sulla base delle esigenze televisive, ovvero di quei contratti milionari che supportano la gestione dei presidenti delle squadre di Serie A. E sono le stesse squadre di Serie A, e dunque i loro presidenti, a comporre la Lega. In sintesi, Sarri certe esternazioni le dovrebbe fare al suo presidente affinché diventino oggetto delle varie assemblee che la Lega tiene annualmente; e non invece oggetto dell’ennesimo insensato sfogo del tecnico toscano. E qui arriviamo al secondo fatto. Non basta allenare un grande club o sedersi in panchina nelle notti di Champions League per diventare di punto in bianco un grande allenatore. Così come non è tipico del grande allenatore cercare sempre scarichi di responsabilità (anche ieri c’era da giustificare la parziale rimonta dell’Empoli). Chi ambisce ad allenare grandi club ambisce anche a giocare le coppe. Con l’impegno e l’organizzazione che ciò richiede. E sempre nel rispetto delle regole. Che devono valere per tutti e non essere customizzate.

Se gli arbitri potessero parlare

Far parlare gli arbitri dopo le partite? L’obiettivo resta, ma dopo i fatti recenti abbiamo fatto un grande passo indietro. Per come ora stanno le cose verrebbe ripresa mezza frase e allontanata dalla verità”. E’ questo lo sfogo di Marcello Nicchi, presidente dell’AiA, ai microfoni di Radio Anch’io sport. Uno sfogo che almeno in parte non condividiamo. Se la Serie A quest’anno è più spettacolare rispetto alle stagioni recenti è anche merito di un taglio più europeo volto a spezzettare meno le partite. Con l’introduzione della Var le polemiche non sono comunque destinate a finire. Ma ad attenuarsi si. Un ulteriore passo avanti verso la redenzione potrebbe allora avvenire se si desse l’opportunità al direttore di gara di spiegare le sue decisioni nel post partita. Una spiegazione che utilizzi le immagini alla moviola a supporto del tecnicismo della regola e non a fini speculativi. E magari con l’obbligo giorno dopo di riportare le dichiarazioni senza snaturarne il senso. Onere questo che per definizione deve risiedere in capo a giornali e giornalisti.