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Maurizio Sarri: integralismo, silenzi ed altre disavventure

Nell’anticipo delle 18.00 di sabato pomeriggio il Napoli di Sarri è stato battuto 2-0 in casa dall’Atalanta compromettendo definitivamente l’improbabile inseguimento alla Juventus, ma soprattutto rischiando di inaugurare una prima fuga della Roma per il secondo posto e di ritrovarsi immischiato in una affannosa battaglia con Inter e Atalanta per l’accesso ai preliminari di Champions, senza contare il rientro di Lazio e Milan dopo le rispettive vittorie contro Udinese e Sassuolo.

Il risultato maturato al San Paolo è stato accolto come una mezza impresa dai tifosi orobici e con profonda delusione dai sostenitori azzurri, ma l’esito del match tra due squadre distanti in classifica di soli 6 punti prima del fischio d’inizio non è stato così sorprendente, considerando il risultato della gara di andata e la strategia tattica monocorde applicata da Sarri fino a questo momento. Nel post partita si sono giustamente evidenziati i meriti dell’Atalanta di Gasperini, che con qualità organizzativa e costanza impressionante sta conducendo una cavalcata storica per i neroazzuri, ma non sono di minore peso specifico le lacune del Napoli.

L’integralismo di Sarri

Ci vuole più lungimiranza e conoscenza per preparare un campionato o più flessibilità e astuzia per preparare una partita? Maurizio Sarri è sicuramente più ferrato nella prima materia. Dopo il veloce cambiamento, dopo il suo approdo in azzurro, dal rombo (4-1-2-1-2) all’attuale 4-3-3, il tecnico napoletano non ha mai schierato il Napoli in una formazione diversa dal primo minuto. Ciò ha dato sicurezze ad una squadra allo sbaraglio dopo il biennio Benitez e ha regalato al pubblico il Napoli più bello di sempre, dotando gli azzurri di una fiera identità che li ha portati a lottare per lo scudetto fino alla resa di Udine (segnata dal tracollo isterico di Higuain) e raddoppiando in pochi mesi il valore della rosa. I numeri non sono tutto nel calcio, e infatti non si può comprendere fino in fondo il modus operandi di un allenatore dalla riduttiva conta numerica degli uomini impiegati per ogni reparto di gioco. Ogni schema può essere concepito ed applicato secondo diversi atteggiamenti tattici, a seconda di innumerevoli variabili. Il punto è che il 4-3-3 di Sarri si è rivelato immutabile nel tempo, così come i suoi principi di gioco. L’unica scossa si è manifestata con l’addio di Higuain: l’assenza di un centravanti totale ha spinto Sarri a stringere i suoi esterni in modo da sostenere la punta centrale nell’azione offensiva con maggiore frequenza. Mentre l’anno scorso il gioco veloce a pochi tocchi praticato da calciatori molto dotati tecnicamente ha letteralmente sorpreso mezza serie A, quest’anno i meno sprovveduti hanno capito come mettere in difficoltà il Napoli anche nella fase si possesso palla, mettendo a nudo l’assenza di soluzioni alternative di una tattica ben rodata e a tratti spettacolare.

Perseveratio diabolica

Gli avvertimenti in tal senso si erano già manifestati nel corso del campionato in tutta la loro pericolosità. Nel girone di andata Sampdoria e Pescara hanno giocato al San Paolo una partita apparentemente temeraria: hanno pressato alto i difensori mettendo in crisi il palleggio degli azzurri ed assumendosi il rischio di esporsi alla pericolosità del Napoli nelle transizioni in campo aperto. La Sampdoria di Gianpaolo (non a caso appartenente alla stessa scuola di pensiero di Sarri) è andata in vantaggio e ha perso all’ultimo secondo, subendo i due gol in situazione di inferiorità numerica, mentre il Pescara ha ceduto solo per manifesta inferiorità tecnica degli interpreti in campo in una gara preparata con attenzione. Identico problema si è presentato sabato pomeriggio, ma questa volta l’espulsione di Kessié non ha provocato il ribaltamento del risultato, anzi l’Atalanta ha trovato il raddoppio senza il suo centrocampista più in forma.

Leggere la partita

Gli uomini di Gasperini hanno marcato a uomo dal primo minuto, pressando alto dal primo passaggio di Reina e lasciando libero di impostare il solo Maksimovic, ovviamente il meno adatto. La reazione nel corso dei 90′ è stata nulla: gli azzurri in maglia bianca hanno perseverato negli uno-due sullo stretto andando a sbattere ripetutamente contro il muro dei cinque centrocampisti avversari, sei contando il difensore centrale che seguiva Mertens quando andava incontro al pallone per lasciare spazio alle sue spalle, peccato che con la difesa a tre centrali l’Atalanta riuscisse a tenerne sempre almeno due in linea a guardia dell’area di rigore. Era prevedibile che Gasperini avrebbe schierato il 3-5-2, e che quindi sarebbe stata una partita da vincere a centrocampo, affrontandolo con più uomini o scavalcandolo con lanci per un numero nove capace di far salire la squadra, ma anche questo dato non ha smosso Maurizio Sarri dal classico 4-3-3 con Mertens falso nueve; risultato: un primo tempo con soli due tiri in porta all’attivo e sotto di un gol. A destare perplessità è anche il primo cambio Milik per Hamsik. In una partita in cui si fatica a costruire gioco, escludere il cervello della squadra togliendo un uomo dal reparto di centrocampo potrebbe essere deleterio, con Rog che continua a guardare dalla panchina nonostante l’infortunio di Allan e la buona impressione lasciata dagli sprazzi di partita giocati fin qui.

Terzino destro cercasi

Sono quattro anni che il napoli non attacca a destra e non ha un terzino di spinta. Fischiato giustamente, Husay ha dato il peggio di sè in fase di spinta sulla fascia destra, lato del campo che Gasperini ha scelto di lasciare più scoperto, mantenendo un atteggiamento molto più accorto in zona Ghoulam-Hamsik-Insigne. Un gioco offensivo e moderno come quello di Sarri richiede due terzini di spinta, così come lo richiedeva quello di Benitez. Non si trova ancora una spiegazione al fatto che negli ultimi quattro anni il Napoli abbia avuto nel ruolo di terzino destro Maggio, Mesto e Husay, tutti guardinghi ma con un rapporto cross effettuati/cross deviato dal difensore irriguardoso nei loro confronti. Chi prepara la partita con astuzia lascia attaccare il terzino destro del Napoli, e a farne le spese è il povero Husay, impacciato quando ha campo davanti ma ottimo difensore destro quando a spingere e a crossare sono gli esterni d’attacco.

Il silenzio stanca

Tutte queste critiche che coltivano l’illusione di essere costruttive avrebbero potuto essere evitate, o quanto meno dissipati i dubbi che ne stanno alla base, con una schietta conferenza stampa post-partita da parte di Sarri, il quale invece dopo il silenzio imposto da De Laurentiis non ha avuto il piacere di spiegare agli appassionati di calcio le proprie scelte. E se non schierare Rog e Pavoletti può danneggiare gli investimenti del patron del Napoli, possono essere altrettanto dannose dichiarazioni destabilizzanti in diretta seguite da un silenzio stampa che fa più rumore, dopo una normale sconfitta contro il Real Madrid, dell’ennesimo battibecco pubblico tra Aurelio De Laurentiis e il malcapitato allenatore di turno.