Quale futuro per la Super Lig?

Lo scorso 28 maggio grazie alla netta vittoria per 4-0 sul campo del Gaziantespor il Besiktas si è laureato campione di Turchia per la 15ima volta nella sua storia. Una vittoria, quella dei bianconeri di Istanbul, dal sapore storico per alcuni motivi. Intanto perché le Kara kartallar (Aquile Nere) non conquistavano il titolo dalla stagione 2008/2009. Poi perché Şenol Güneş, tecnico del Besiktas, diventa il primo allenatore turco a condurre il club a due successi consecutivi in campionato. Infine, ma non per importanza, perché il Besiktas non è certo il club preferito di Recep Tayyip Erdoğan e questo aspetto, in una nazione radicalmente cambiata dal fallito golpe del 2016 e dal successivo referendum costituzionale del 16 aprile 2017 che ha di fatto sancito la legalità del regime dell’AKP, non è certo di poco conto.

Il Gezi Park, il Çarsi, il calcio e l’AKP

Chi ha avuto la fortuna di visitare Istanbul ne avrà sicuramente apprezzato la sua bellezza ed il suo fascino. Qualità che trovano ulteriore vigore negli incredibili contrasti che da sempre caratterizzano la porta d’oriente. Contrasti che rivivono anche nella rivalità calcistica che ha in Galatasaray, Fenerbache e per l’appunto Besiktas la sua massima espressione. Il club giallorosso, il più titolato del paese, nasce nel 1905 ed è rappresentativo della borghesia laica della città. I gialloblu del Fenerbache, invece, rappresentano dal 1907 l’anima asiatica di Istanbul e della Turchia. Il Besiktas, infine, il club più antico dei tre poiché fondato nel 1903, è considerato la squadra del popolo. Il gruppo principale del movimento ultras bianconero è il Çarsi, noto per la sua ideologia anarchica e schierato dal 1982, anno di fondazione, dalla parte dei ribelli. Così come è accaduto anche nella primavera del 2013 durante quelle che sono state consegnate alla storia come le proteste del Gezi Park quando quella che sembrava una semplice rimostranza di una cinquantina di persone contro la nascita di un centro commerciale al posto del parco di Istanbul scoperchiò invece il vaso di Pandora sbattendo in faccia ad un mondo abbagliato dal progresso economico del paese il malessere di una nazione nei confronti di un partito, l’AKP di Erdoğan, accusato di assomigliare sempre più ad un regime che ad uno schieramento democratico in linea con i principi della Repubblica turca. Le purghe del 2016 erano ancora lungi da venire ma la protesta del Gezi Park, nata con scopi pacifisti, si chiuse comunque in maniera drammatica. L’uso sproporzionato della forza per reprimere la manifestazione causò infatti 9 morti ed oltre 8 mila feriti. Tra i protagonisti dei violenti scontri che accompagnarono e seguirono le giornate del Gezi Park c’era anche il Çarsi. Ben 35 esponenti del gruppo ultras del Besiktas vennero processati perché accusati di aver tentato di rovesciare il governo. Un processo dal sapore di farsa che però aveva uno scopo preciso: inviare un chiaro segnale ai dissidenti ed intimidire l’opinione pubblica.

Quella del Besiktas non è l’unica tifoseria che si è schierata apertamente contro l’AKP. Degno di nota è infatti anche il paradosso del Fenerbache. Il club nasce del quartiere di Kadiköi sito nella parte asiatica della città dove gli oppositori di Erdoğan raccolgono il 70% delle preferenze. Ed i tifosi del Fener, insieme a quelli del Galatasaray, non hanno fatto mancare il loro appoggio a quelli del Besiktas nei giorni del processo per i fatti del Gezi Park. Così come gli stessi tifosi gialloblu non hanno fatto mancare il loro appoggio al presidente del club, Yildirim, quando nel bel mezzo dello scandalo scommesse che colpì il calcio turco nel 2011 e che vide il Fenerbache tra i principali indiziati, il numero uno del club accusò Erdoğan di voler colpire la squadra perché contraria alla svolta conservatrice dell’AKP. Dove sta il paradosso? Nel fatto che Erdoğan è dichiaratamente tifoso del Fenerbache tanto che l’esclusione dalle coppe europee del club per tre anni inflitta dall’Uefa non ha avuto alcuna ripercussione in patria.

Anche quelli del Galatasaray hanno avuto a che ridire con Erdoğan. L’occasione è stata l’inaugurazione della Türk Telekom Arena il 15 gennaio 2011. Il nuovo impianto dei leoni, che ha sostituito lo storico Ali Sami Yen, è costato circa 180 milioni di euro buona parte dei quali finanziati dal governo con una manovra finanziaria ad hoc. Per questo il Sultano non gradì particolarmente i fischi dei 58 mila spettatori presenti all’inaugurazione che utilizzarono la morte di due operai durante la costruzione dell’impianto come pretesto per manifestare il proprio malumore. Anche i tifosi del Galatasaray come quelli del Fenerbache hanno sostenuto i Çarsi del Besiktas dopo i fatti del Gezi Park dando vita alla c.d. Istanbul United: tre tifoserie divise da un’acerrima rivalità unite nello stesso movimento di protesta. Uno dei pochi momenti di vera unità che Erdoğan, senza brogli o minacce, è riuscito liberamente a creare.

La crisi finanziaria e la mano di Erdoğan

Questo excursus appena completato ci racconta che a conti fatti tutto il mondo è paese. E così anche in Turchia calcio e politica sono diventati un connubio inscindibile. E se da un lato le tifoserie contribuiscono ad alimentare il clima di opposizione al regime di Recep Tayyip Erdoğan, sul fronte opposto si schierano le proprietà dei club della Super Lig dal momento che per stare a galla hanno necessariamente bisogno dell’appoggio del governo di Ankara. Quello turco è infatti uno dei movimenti calcistici europei più indebitati al mondo. L’esposizione dei club della Super Lig negli ultimi 5 anni è cresciuta vertiginosamente e secondo stime Uefa almeno 13 club del massimo campionato operano pur essendo tecnicamente in default. Alcuni numeri che è possibile portare a supporto sono abbastanza eloquenti. La scorsa stagione, quella 2015/2016, ha visto il Fenerbache maturare 40 milioni di debito per un totale cumulato di circa 170 milioni di euro mentre il Besiktas se l’è cavata con 20 di esercizio. Critica è la situazione del Galatasaray che sembra abbia debiti per circa 500 milioni di euro e che è già stato sanzionato in nome del fair play finanziario alla fine della stagione 2015 dalla Uefa con l’esclusione per una stagione dalle competizioni europee a causa di un deficit di 164 milioni maturato nell’ultimo triennio. Ma qual è la ragione di uno scenario così disastroso?

Il campionato turco è tra i più ricchi d’Europa. La Super Lig incassa di diritti tv da BeIN Sports la bellezza di 420 milioni di euro l’anno: il sesto contratto per importanza del vecchio continente. Il problema è allora di altro tipo. Per la precisione si individuano due fattori cruciali. Il primo è rappresentato dalla diversificazione dei ricavi. Il Besiktas ad esempio ha chiuso la stagione 2015/2016 con 101 milioni di ricavi di cui il 43 derivanti dai diritti tv. Il secondo è invece legato dalla crescita recente del movimento turco che, in particolare nelle ultime stagioni, ha cominciato ad attrarre, in parte per appeal ma soprattutto per gli stipendi pagati a peso d’oro, campioni ed allenatori affermati. Lo sbarco in Turchia dei vari Drogba, Eto’o, Sneijder, Podolsky, Quaresma, Mancini o Prandelli ha fatto si che le ultime 15 sessioni di mercato della Super Lig si siano chiuse in ben 14 occasioni in passivo con una posizione debitoria cumulata di oltre 500 milioni.

Ecco perché i club della Super Lig hanno avuto bisogno di rivolgersi al governo per ottenere nuovi sussidi ed agevolazioni. Misure che sono andate a sommarsi ad una tassazione già inferiore al 20% che è decisamente non male se si considera che nei 5 principali campionati europei è pari a circa il doppio. La mano tesa di Erdoğan non è tardata ad arrivare. Il leader dell’AKP ha concesso un condono fiscale ai club per i debiti maturati verso lo stato. Ma in cambio, ed in maniera neanche troppo velata, ha chiesto appoggio per il referendum; con buona pace dei tifosi. Ed abbiamo già visto come è andata a finire il 16 aprile. La domanda, ora, sorge spontanea: quale futuro attende la Super Lig?

Una nuova primavera per la Super Lig?

Il movimento turco, seppur leggermente ridimensionato rispetto ai fasti dell’ultimo quinquennio, continua comunque a coltivare progetti ambiziosi. Erdoğan ha due obiettivi dichiarati: far diventare quella turca la decima economia mondiale entro il 2023 e far diventare la Super Lig il quarto campionato in Europa entro il 2020. Questo secondo proposito, funzionale alla realizzazione del primo, sembra sposarsi bene con le ambizioni dei top club della Super Lig. il prossimo anno la Turchia porterà tutto il gotha del suo calcio sul palcoscenico europeo: il Besiktas sarà ai gironi di Champions League, il Basaksehir di Adebayor ai preliminari, Fenerbache e Galatasaray (preliminari) in Europa League. Il mercato, seppure alle prese con lo scetticismo creato dall’instabilità politica del paese, sta registrando movimenti interessanti. Il Besiktas sembra intenzionato a portare sul Bosforo Medel. Il difensore del Napoli Chiriches risulta ad un passo dal Galatasaray di Tudor che punta anche Acerbi, Dionisi, Hoedt, Bacca e Asamoah. Eljero Elia, ex conoscenza del campionato italiano e della Juventus in particolare, dopo aver vinto l’Eredivisie con la maglia del Feyenoord si è trasferito all’İstanbul Başakşehir. Anche Jeremy Menez ha scelto il paese della mezzaluna. L’ex Milan, dopo un anno al Bordeaux, ha firmato con Antalyaspor di Eto’o che vuole anche un altro milanista, Kucka. Un altro Jeremy, Mathieu del Barcellona, è in procinto di accasarsi al Fenerbache che nel frattempo ha ingaggiato anche Valbuena dal Lione. Nomi meno accattivanti rispetto a quelli di Drogba e compagni di qualche anno fa. Ma si tratta sempre di giocatori di caratura internazionale destinati inevitabilmente ad arricchire il tasso tecnico di una Super Lig che può continuare a pensare in grande. Almeno finché Erdoğan, facinorosi del Çarsi ed emulatori vari permettendo, lo riterrà utile per i propri fini.