Neymar-PSG: tutti gli effetti di un calciomercato fuori controllo

«Sarà una campagna acquisti molto difficile. Si sta vivendo dentro una bolla speculativa molto pericolosa». E ancora: «Quando scatta una clausola da 220 milioni, nonostante possa riguardare un top player come Neymar, si produce un effetto che droga tutti i prezzi».

A dirlo è Walter Sabatini, coordinatore dell’area tecnica di Suning Sport, nel corso di un’intervista rilasciata a Walter Veltroni per il Corriere dello Sport. Lo scenario rievoca la Crisi dei subprime che nel 2007 ha piegato prima gli Stati Uniti e poi a cascata il resto del mondo. Il tono è profetico, quasi sensazionalistico, ma le previsioni potrebbero non discostarsi troppo dalla realtà: nella settimana dell’affare Neymar al PSG, del trasferimento di Mbappé al Real Madrid (l’affare, dato per concluso dal quotidiano Marca, ha subito una brusca frenata nelle ultime ore), e delle voci sempre più insistenti che vorrebbero Cristiano Ronaldo al Milan, una cosa è certa: le dinamiche finanziarie del pallone non sono più le stesse. Partendo dalle dichiarazioni del nostro Walter Sabatini (alias Michael Burry, alias Christian Bale in “The Big Short”), proviamo a tracciare le rotte della nuova Sport Industry. Magari prima che la bolla scoppi davanti ai nostri musi unti di crema solare.

Se una volta toccato il fondo non si può che risalire, è anche vero che una volta toccata la vetta non si può far altro che scendere. Il problema, però, è capire fin dove è possibile spingersi. Dopo il trasferimento di Pogba al Manchester United della scorsa estate, al costo di 105 milioni di euro, sembrava difficile poter abbattere a distanza di un anno il record dell’affare più costoso della storia del calcio. E invece il rischio è che non solo il record venga superato, ma polverizzato, e anche più volte nel corso della stessa sessione di mercato. Tralasciando i rumors inerenti all’addio di Cristiano Ronaldo (forse più una suggestione dettata dal fascino paternalistico e onnipotente di Fassone che una reale avance di mercato), le trattative del momento sono quelle di Mbappé al Real e di Neymar al PSG: 180 milioni di euro la cifra che i galacticos sarebbero disposti ad investire per assicurarsi il gioiello francese, ben 222 invece, l’intera clausola rescissoria prevista dal Barcelona, i milioni versati sul piatto dalla dirigenza qatariota per portare a Parigi l’attaccante brasiliano. Un’operazione monstre se si considerano i 60 milioni lordi d’ingaggio per cinque anni per il giocatore e una commissione da 40 milioni per il padre procuratore, che farebbero lievitare i costi a 562 milioni di euro.

Al di là delle riflessioni etiche e deontologiche che il trasferimento, se così confermato, aprirebbe – e che forse è bene lasciare ad altre sedi – siamo di fronte ad vortice economico senza precedenti. Le ripercussioni legate all’affare da mezzo miliardo di euro, infatti, si staglierebbero su più fronti: il primo riguarda l’effetto domino che il posto vacante nel tridente catalano creerebbe, sia in termini di intrecci di calciomercato che di deviazione dei prezzi; il secondo invece si attiene al rapporto tra le società economicamente più forti e le norme in materia di fair play finanziario.

Effetto domino

Una volta tolta la N dalla MSN, il Barcellona si muoverà per trovare un degno sostituto. La ricerca, secondo le fonti della Gazzetta dello Sport, si estenderebbe proprio all’Italia con Insigne del Napoli e soprattutto Dybala della Juve dati come papabili rimpiazzi del brasiliano. A loro volta, poi, Juve o Napoli sarebbero costrette a guardarsi intorno per tamponare le perdite, generando un flusso di movimenti non indifferente dall’alto verso il basso, consce però della loro debolezza in sede d’acquisto rispetto ai competitors europei. La partenza di Neymar sarebbe sì un incentivo per smuovere le acque dello stantio calciomercato italiano – che al di là del Milan non ha regalato particolari sorprese – ma anche l’ennesima dimostrazione di quanto il calcio nostrano sia finanziariamente sottomesso a quel che accade in altre parti d’Europa. Nel mese d’agosto, con un domino milionario alle porte, i confini tra calcio e fantacalcio potrebbero non essere più così certi.

Un altro fattore da non sottovalutare sono poi, come ricorda lo stesso Sabatini, le scorie narcotizzanti che un’operazione da mezzo miliardo di euro potrebbe lasciare sul mercato. L’indicazione sarebbe quella di gonfiare globalmente i prezzi: una tendenza già per altro in atto se consideriamo che tra i 55 trasferimenti più costosi di sempre ben 19 sono stati realizzati tra il 2016 e il 2017, e addirittura 9 di questi portati a termine nella finestra di mercato corrente. Secondo una ricostruzione del The Daily Telegraph il passaggio di Romelu Lukaku al Manchester United dello scorso 8 luglio potrebbe già essere il trasferimento più costoso di sempre: ai 75 milioni di sterline versati per l’acquisto del giocatore andrebbero infatti aggiunti altri 15 di bonus, legati al rendimento nel corso delle competizioni, che se sbloccati farebbero lievitare il costo dell’operazione a 90 milioni di sterline, settecentomila in più rispetto al trasferimento record di Pogba dello scorso anno.

Giocare sporco

Le resistenze istituzionali poste in atto dal Barca, con Pique e il diplomatico selfie del “se queda” – resta – sono nulla in confronto alle perplessità giunte da Nyon in relazione al maxi trasferimento di Neymar. Se dalla Catalogna sembrano disposti a tutto pur di trattenere il brasiliano, il principale ostacolo per il PSG risultano infatti le norme del fair play finanziario: l’obiettivo del pareggio di bilancio, onere cui sono sottoposte tutte le squadre che partecipano alle coppe, sarebbe messo a dura prova da un affare da mezzo miliardo di euro.

Non secondo il report realizzato da Marco Bellinazzo de “Il sole 24 ore” che, intervenuto a Goal.com ha spiegato come, conti alla mano, il PSG possa sostenere l’operazione nonostante i paletti posti dalla UEFA. Il giro d’affari della società francese, che al 2016 dichiarava un fatturato di 542 milioni, sarebbe fortemente agevolato da un circuito di sponsorizzazioni “interne”: Bellinazzo parla di enti, direttamente o indirettamente controllati dalla proprietà qatariota (cita l’ente del turismo del Qatar), in grado di rimpolpare le casse del club attraverso partnership, dichiarate valide dalla UEFA, il cui contributo va però sterilizzato del 30-50%. Il PSG, dopo le sanzioni di tre anni fa, pur non potendo godere a pieno dei contributi di enti esterni, ha trovato in essi una fonte di sostentamento pari a 342 milioni. Ora, la norma del FFP (Financial Fair Play) che potrebbe creare problemi è quella che prescrive che i salari non assorbano oltre il 70% dei ricavi. Proprio grazie a questi fondi però (uniti ai ricavi derivanti da diritti tv, sponsorizzazioni e merchandising) il PSG riuscirebbe a mantenersi sotto la soglia limite anche in caso di arrivo di Neymar, passando dal 54% del 2016 al 65% del prossimo esercizio. Attraverso un ribilanciamento dei ricavi (partnership e sponsorizzazioni) e una rimodulazione delle politiche salariali (qualche cessione sarebbe inevitabile), il PSG non avrebbe difficoltà a far quadrare i conti. Magari chiudendo l’esercizio in positivo, come nel 2016, in cui raggiunse un utile di 10 milioni.

Un’altra strategia che il PSG potrebbe utilizzare per forzare le norme del FFP, è quella illustrata da Sky Sport: Neymar potrebbe arrivare sotto la Tour Eiffel grazie all’intervento diretto di un fondo straniero, riconducibile al Presidente Al-Khelaifi, senza coinvolgere ufficialmente la società francese. Quando viene onorata una clausola rescissoria, infatti, tecnicamente è il giocatore stesso che paga la penale al club con cui è legato per potersi liberare: la proprietà qatariota potrebbe dunque consegnare quei soldi a Neymar attraverso un accordo di sponsorizzazione personale, un partner commerciale o tramite uno dei tanti fondi gestiti dal gruppo Oryz Qatar Sports Investment (occhio però alle sirene delle Third Party Ownership). «I 222 milioni non verrebbero quindi contabilizzati sul bilancio del club francese – si legge su Sky Sport -, il quale sarebbe libero di firmare Neymar come se fosse svincolato e mettere a bilancio “solo” il costo del suo ingaggio, pari a quello dell’attuale compagno Lionel Messi, ma senza considerare un sostanzioso bonus al momento della firma».

Nuove soluzioni

Entrambe le piste denunciano lo stesso problema, vale a dire l’incapacità dell’attuale sistema di contabilità introdotto nel 2011 dalla UEFA di perseguire gli obiettivi per cui è stato creato. La falla non riguarda i principi, ma i modi attraverso cui il fair play finanziario cerca di ridurre l’indebitamento e l’inflazione. Le misure preventive sono carenti, quelle sanzionatorie spesso inefficaci.

Stando al FFP, tutte le squadre che si qualificano per le coppe, devono perseguire il pareggio di bilancio. Per il triennio 2015-18 è tollerato un deficit massimo di 30 milioni, ma anche in caso di sforamento le pene non sono poi così aspre. Si parla a tal proposito di settlement agreement e voluntary agreement: nel primo caso la UEFA, una volta ravvisata la violazione, dispone delle sanzioni (multe, rose ridotte nelle coppe, limitazioni nelle trattative) per il club in rosso, il quale accettandole (in questo senso si parla di agreement) si impegna a rientrare nei parametri; nel caso del voluntary invece è lo stesso club che denuncia la violazione ancor prima di incorrere in una sanzione. Solitamente si tratta di società con particolari difficoltà finanziarie o appena rilevate da una nuova proprietà, che presentano un piano di estinzione dei debiti dilazionato nel tempo. Due esempi di società sottoposte al vaglio di Nyon sono proprio Inter e Milan: se per i nerazzurri sono in corso le procedure del settlement (da qui le difficoltà denunciate da Sabatini nel muoversi in uno scenario in cui ogni spesa va pareggiata con un equivalente entrata), per i rossoneri invece si fa riferimento al regime del voluntary. In attesa di una risposta dalla UEFA per il piano di rientro presentato dalla nuova proprietà, il Milan sta aumentando vertiginosamente il deficit: la cosa non è vista di buon occhio dagli organi predisposti al controllo, né dagli altri club, con in testa la Roma e il Presidente James Pallotta, protagonista nelle ultime ore di una feroce invettiva nei confronti del club di via Aldo Rossi.

Le risposte ad un sistema in crisi arrivano direttamente dal Presidente della UEFA Aleksander Čeferin, il quale, già al momento della sua elezione nel 2016, aveva individuato come caposaldo del suo mandato la modifica del fair play finanziario. Le novità, coniate dalla NBA statunitense, potrebbero essere l’introduzione del Salary Cap, della Luxury Tax e di limiti nella costruzione delle rose: tutti meccanismi che mirano preventivamente alla costruzione di modelli finanziari sani. Il Salary Cap non solo andrebbe a porre dei tetti salariali da applicare a ciascun club, ma prevederebbe addirittura una stratificazione degli atleti in diverse categorie a seconda della capacità di reddito. La Luxury tax, un’imposta che verrebbe applicata sui trasferimenti e gli ingaggi economicamente più onerosi, consentirebbe una redistribuzione della ricchezza verso il basso; i limiti alla costruzione delle rose riguarderebbero il numero di trasferimenti effettuabili dalla società nel corso di una sessione di mercato, ma anche una regolamentazione dei prestiti, utilizzabili soltanto per i calciatori più giovani (non ha senso ricorrere al prestito per un giocatore over 30).

Le misure prese in esame scongiurerebbero la più grande paura di Sefrin: la concentrazione del talento in pochissime squadre, che poi è anche lo spostamento del potere economico nelle mani di pochi, grossissimi investitori. Abbattere l’oligopolio e ridistibuire, per quanto possibile, la ricchezza generata dal calcio significherebbe reintrodurre un tocco d’imprevedibilità. Forse, questa sì la più grande paura di chi per troppo tempo ha tenuto il controllo del gioco.