Generazione Gabbiadini

In Inghilterra il cielo è coperto e spesso e volentieri piove. Ma quando la tua stella comincia a brillare non ci sono nuvole che tengano. Ed è impossibile non notare come nel cielo di Southampton sia tornata a splendere la stella di Manolo Gabbiadini.

La carriera di Manolo Gabbiadini racconta un po’ la storia di tanti giovani talenti italiani nati, cresciuti e formatisi in Italia e che pur producendo risultati discreti sono stati accantonati alle prime difficoltà. Gabbiadini, nato e cresciuto calcisticamente a Bergamo con l’Atalanta e finito di formarsi tra Bologna e Genova (sponda Samp), ha avuto problemi a consacrarsi a Napoli, almeno quando è stato chiamato a far dimenticare la sofferta partenza di Higuain. Perché finché è rimasto all’ombra dell’argentino c’è da dire che se l’è cavata anche piuttosto bene.

Pensare di scalzare il Pipita dall’undici titolare sarebbe stata utopia per chiunque. Ma la fortuna di Gabbiadini è stata quella di trovare un tecnico, Benitez, che lo ha saputo valorizzare come dodicesimo uomo. Forse non la condizione ideale per uno dei talenti più promettenti della propria generazione. Ma sicuramente un’opportunità come comprimario di lusso alle spalle di un giocatore dal quale poter apprendere quanto necessario ad affinare i trucchi del mestiere. Un percorso finalizzato a far sì che l’attaccante potesse acquisire l’esperienza necessaria per essere poi pronto un giorno a raccogliere l’eredità di quello che è senza ombra di dubbio il centravanti più forte della Serie A. Che quella del panchinaro di lusso potesse essere la dimensione giusta di Manolo Gabbiadini lo raccontano anche i numeri. Nei sei mesi con Rafa Benitez lo score è stato di 11 gol in 30 presenze, di cui ben poche da titolare. Motivo per cui la media dei gol segnati in rapporto ai minuti giocati è risultata essere tra le più alte del campionato.

Il calcio però è strano, molto strano. E arriva il giorno in cui Benitez lascia Napoli con una Coppa Italia ed una Supercoppa messe in bacheca in due stagioni. Un contributo fondamentale alla crescita esponenziale del Napoli, iniziata con Mazzarri qualche anno prima, che aveva anche agevolato la scalata dal 94º al 20º posto del ranking UEFA. A raccogliere l’eredità dell’ex allenatore del Liverpool arriva un altro maestro di calcio, Maurizio Sarri, venuto fuori dal calcio di periferia grazie ad una gavetta ventennale. Sotto la guida del tecnico toscano la squadra partenopea pare, se possibile, ancora migliorata. Ma non tutto è oro quel che luccica, almeno per Manolo Gabbiadini. Il giocatore sembra vittima di un’involuzione figlia dell’integralismo sarriano che lo porta a sentirsi sempre più ai margini del progetto partenopeo. Il 4-3-3 di Maurizio Sarri, infatti, non prevede un posto per il talento di Calcinate, lui che paradossalmente nasce prima punta per poi acquisire confidenza e padronanza anche della fascia destra. L’intransigenza tattica di mister Sarri vede in Callejon ed El Kaddouri le prime scelte per quella porzione di campo, mentre Insigne e Mertens si dividono il minutaggio a sinistra. E con un Higuain stratosferico sommato ad un allenatore che non ama molto i turnover, l’involuzione è una naturale ed inevitabile conseguenza dello scarso impiego. Il Napoli nel frattempo gioca a memoria, offre uno spettacolo di altissima qualità e grazie a tutto ciò Gonzalo Higuain esplode ed infrange il record di Nordahl chiudendo il campionato in vetta alla classifica dei marcatori con 36 gol.

Le cose però cambiano gioco forza con la cessione del Pipita alla Juventus e con Milik, chiamato a sostituire l’argentino, che si ferma ai box per un lungo infortunio. E’ il momento di Manolo Gabbiadini. Che però stecca due-tre partite e viene presto scavalcato da Mertens nelle gerarchie di Sarri. È di nuovo panchina. Prigioniero in un ambiente che ormai non gli appartiene più, Manolo Gabbiadini, come tanti italiani della sua generazione (calcistica e non) decide di cambiare aria. Con grande sollievo per il Napoli che nell’accontentare Sarri vede anche una grande opportunità per fare cassa. Manolo Gabbiadini, il ragazzo dallo sguardo malinconico, lascia il sole, il mare e il calore della penisola per sbarcare nella più fredda e piovosa Inghilterra. Non sembra proprio la scelta ideale per chi deve ritrovare se stesso. Ma può esserla per chi ha bisogno innanzitutto di trovare altro: una possibilità. E un po’ di fiducia.

Claude Peul, ex bandiera del Monaco ed ora allenatore del Southampton, intravede in Manolo Gabbiadini quella voglia di spaccare il mondo che molti a Napoli non vedono più. E ha ragione. Arrivato il 31 gennaio, Gabbiadini esordisce quattro giorni dopo nella sconfitta per 1-3 contro il West Ham. Segnando però l’unico gol dei Saints. La settimana successiva il ragazzo si ripete trovando la sua prima doppietta in Premier League nella partita vinta per 4-0 contro il Sunderland. La voglia di conquistare l’Inghilterra è tale che gli consente di guadagnarsi un posto da titolare nella finale di Coppa di Lega contro il Manchester United. A Wembley, tempio del calcio inglese e mondiale. Il Southampton va sotto per due reti a zero, salvo poi riprendere in mano la partita. Grazie a chi? Ma a Manolo Gabbiadini ovviamente, che sigla due gol d’autore che tengono a galla i Saints prima di cedere definitivamente sotto il colpo di testa di Ibrahimovic. La coppa va a Manchester ma Wembley regala una certezza. La rinascita di Manolo Gabbiadini.

Una rinascita che apre però il campo ad una riflessione: forse ci si è disfatti di lui un po’ troppo in fretta. Quando un giovane viene costretto a cercare altrove le certezze e le opportunità che dovrebbero essergli date, un problema di fondo probabilmente c’è. Ma al di là di questo, il successo di Gabbiadini in Inghilterra è un po’ il successo di tutti quei giovani che hanno dovuto lottare, sudare e persino espatriare per rincorrere quella possibilità che Manolo sapeva e sa di meritare. Una possibilità che non ha intenzione di sprecare proprio adesso, ora che la sua stella ha (ri)cominciato a brillare anche oltre il cielo nuvoloso di Southampton.